Palazzi & potere

Start-Up, perché l’ecosistema non cresce?

Il Presidente francese Macron, coerente con il progetto elettorale di fare della Francia una Start-Up Nation ha annunciato la volontà di creare un fondo per startup da 10 miliardi di euro.

La notizia ha nuovamente aperto un dibattito caldo all’interno dell’ecosistema italiano, che accusa la classe politica italiana di mostrare poca sensibilità sui temi legati all’innovazione.

Ma l’ecosistema italiano di startup, è davvero esente da responsabilità?

Il registro delle imprese relativo alle startup innovative, recentemente aggiornato dal Mise, conta più di 7mila start-up: tuttavia le realtà in grado di fatturare più di un milione di euro si possono contare sulle dita di una mano. Le aziende iscritte al registro sono 7.524, più di mille nascono a Milano, una su dieci a Roma, a seguire Torino e Bologna. Ma il dato particolarmente interessante riguarda il settore di attività delle “start-up innovative”: infatti, poco meno di una su tre (circa 2300) sono attive in ambito informatico, circa un migliaio è attivo nel settore della ricerca scientifica, ma sono poche quelle che esplorano forme imprenditoriali sostenibili creando prodotti e servizi con un effettivo valore d’uso.

Il risultato è che l’ecosistema italiano fatica ad emanciparsi dal nanismo aziendale. Basta osservare indicatori come il capitale sociale e il fatturato per capirlo. 

  1. Il 94% delle start-up innovative italiane ha un capitale sociale inferiore a 10mila euro;
  2. Il 79% impiega al massimo 4 addetti;
  3. Il 50% fattura meno di 100.000 euro l’anno.

Stando ai dati disponibili sul registro per le imprese solo una start-up innovativa su cinque è titolare di un brevetto, una su tre è fondata da persone con una laurea o un dottorato, ma in compenso più della metà investe in ricerca e sviluppo. In poche parole, siamo immersi in un sistema di start-up che non rispetta in pieno gli standard fissati dal decreto Passera nel 2012.

A ulteriore conferma del gap innovativo di cui soffre l’ecosistema italiano riportiamo i numeri relativi al secondo trimestre 2017 diffusi recentemente dal Mise, dove si confronta il valore della produzione delle start-up e delle società di capitale: 

  1. Valore medio di produzione delle start-up è pari a 114.89€ mentre quello delle società di capitale raggiunge i 2.814.491€,
  2. Valore mediano di produzione delle start-up 21.948€, società di capitale 234.217€.

L’ecosistema italiano, spiace dirlo, ha creato una moltitudine di piccole società competitive ed ha finito con il generare un’occupazione tossica e insostenibile (gli esempi non edificanti si sprecano) anche a causa di un Paese che non ha internalizzato la cultura dell’investimento in innovazione e ricerca. È un cane che si morde la coda: una piccola start-up per crescere ha bisogno di muoversi sui mercati esteri, vista la stagnazione della domanda interna, ma in assenza degli investimenti opportuni diventa quasi impossibile. Uno studio sulle performance delle piccole imprese finanziate dal Comune di Milano restituisce la cartina torna sole dell’intoppo: a generare utili sostenibili sono soprattutto i piccoli esercizi commerciali nati da meno di cinque anni a questa parte, che vendono beni materiali con un immediato valore d’uso, e non le start-up innovative.

Forse è il caso di rivedere le politiche di sviluppo alla luce di questi dati, rimodellandole su dimensioni più modeste, ma certamente più realistiche.

Benedetta Fiani