Tabacco, la manovra porta nuove accise. Perché non esplorare le alternative?
La manovrina correttiva del Governo, richiesta dall’Europa, era partita con una rigida discussione sulle tasse. Padoan voleva aumentarle, Renzi ha detto di no. La scelta dunque è ricaduta su un settore considerato più spendibile sul fronte opinione pubblica: il tabacco.
Da qui il Governo pensa di poter raccogliere 83 milioni nel 2017 e 125 milioni nel 2018. In totale circa 200 milioni. Il problema è che il settore del tabacco tradizionale è in forte calo (-20% nel 2015 e -8% nel 2016) e in ogni caso si vanno a mettere le mani in tasca al cittadino. Come?
Le modalità sono diverse, ma la più accreditata in questo momenti, sembra essere un aumento significativo dell’onere fiscale minimo targettizzato sulle fasce di prezzo dai 4,20 ai 4,40 euro. In poche parole i pacchetti nella fascia di prezzo medio-bassa consumati da utenti dal reddito medio-basso a loro volta. Si andrebbe quindi ad incidere nuovamente sui consumatori già tartassati di più in Italia fra accise e pressione fiscale generale. Proprio per questo motivo, a fronte anche del calo dei consumi, le cifre prospettate dal Governo potrebbero rivelarsi un mero proposito.
Le strade percorribili, in alternativa ad una tassazione che penalizzi solo una fascia di prodotti e, conseguentemente, di consumatori, sono diverse. Un primo metodo consisterebbe nel distribuire l’accisa su tutti i prodotti del tabacco. L’incidenza e l’onore fiscale minimo in questo caso avrebbero un impatto equo per tutte le fasce di prezzo.
Una seconda possibilità si estenderebbe ai nuovi prodotti del tabacco: quelli a tabacco riscaldato. Essi hanno goduto di un particolare sconto fiscale concesso, guarda caso, quando un grande produttore ha costruito un impianto a Bologna promettendo 600 posti di lavoro. Dunque questi nuovi device che utilizzano tabacco a tutti gli effetti si sono visti scontare la tassazione sulle basi di una presunta maggiore salubrità del nuovo prodotto.
Nel frattempo le sigarette elettroniche, competitor dei nuovi device, entravano nel mirino del fisco entrando in profonda crisi a causa della nuova tassazione sui liquidi con nicotina. Gli addetti sono passati dagli 8000 del 2013 ai 2300 del 2015 e le imprese nel boom erano circa 3000, oggi sono appena 1000.
A fronte di questa penalizzazione del settore sigaretta elettronica si potrebbe ripensare complessivamente il prelievo fiscale e riordinare la regolamentazione piuttosto disorganica. Invece di intervenire su di un comparto in calo come quello del tabacco tradizionale, sarebbe utile rimodulare le imposte di consumo applicate alle e-cig, risanando un settore dalle ampie possibilità di sviluppo e contrastando l’illegalità ormai diffusissima (fiorita per evitare la tassazione). Il gettito, tenendo conto dei numeri pre-crisi del settore, potrebbe salire dai 5 milioni di oggi fino ai 100-120 milioni.
Allo stesso tempo, sul piano dell’equità, potrebbe essere estesa la tassazione delle sigarette tradizionali a quelle che riscaldano il tabacco, ma hanno un regime agevolato e dunque distorsivo nel mercato. In questo caso il gettito potrebbe variare a seconda del consumo effettivo, ma qualche stima si può fare se si pensa che in seguito all’agevolazione fiscale per ogni punto percentuale di consumatori che passa dalle bionde classiche ai prodotti a tabacco riscaldato lo Stato perde circa 65 milioni di euro.
Intervenendo sulle sigarette elettroniche e spingendo il settore verso maggiore sviluppo e legalità e sui nuovi prodotti a base di tabacco si prenderebbero due piccioni con una fava: si potrebbe raggiungere la cifra prevista dal Governo e si potrebbe redistribuire la tassa in modo equo. Con giovamento per il settore e per i consumatori, stanchi ormai della parola “tasse”.
Benedetta Fiani