Politica

Riforma Cartabia, Paolo Maddalena: "Non piace neanche a chi l'ha redatto"

Di Monica Camozzi

Paolo Maddalena, vice presidente onorario della Corte Costituzionale, risponde a diverse domande sulla Riforma Cartabia

“Il progetto di riforma della giustizia? A mio avviso non risolve affatto il problema della giustizia, anzi è pieno di contraddizioni, di norme incostituzionali e presenta anche qualche errore di grammatica giuridica”. Così si esprime Paolo Maddalena, vice presidente onorario della Corte Costituzionale, aggiungendo che “il progetto forse non piace neppure a chi l’ha redatto, la ministra Cartabia, che si è trovata nella necessità di mettere insieme le più svariate proposte provenienti dai partiti. Maddalena sottolinea che, se l’attenzione dei media sembra concentrata sulla prescrizione, il vero dato inaccettabile è quello dell’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Cosa significa, che verrà deciso quali reati perseguire in via prioritaria? Chi lo deciderà?

In questo disegno di legge si prevede che gli Uffici del pubblico ministero individuino “criteri di priorità trasparenti e predeterminati” da indicare “nei progetti organizzativi delle Procure della Repubblica”, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da trattare e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili. Certamente è importante dare precedenza alle notizie di reato concernenti delitti più gravi, sia in se stessi e sia per l’allarme sociale che suscitano, ma quello che è impossibile sancire è che restino reati non perseguiti, come si ricava dal riferimento alle limitazioni derivanti dalle scarse risorse disponibili.

I reati potrebbero rimanere non perseguiti per “scarse risorse”, quindi?

Rispondo dicendo che anche questa disposizione sembra in contrasto con la Costituzione, e cioè con gli artt. 3 e 101, stabilendo l’art. 101 che “la giustizia è amministrata in nome del Popolo” e stabilendo l’art. 3, che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. Ha perfettamente ragione il Procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri, quando dice che la vera riforma risolutiva è una sola: quella di dotare gli uffici giudiziari, i cui ruoli da tempo presentano vuoti inimmaginabili, di più magistrati, più personale addetto e maggiori strumenti meccanici e telematici. I giudici devono andare anche a farsi le fotocopie da soli.

E sul tema della prescrizione? Come le sembra la proposta?

In questa proposta esiste quello che definisco un obbrobrio giuridico. Mi spiego. In linea teorica, si propone che il corso della prescrizione cessi definitivamente dopo la sentenza di primo grado, ovvero che si interrompa. Poi, per assicurare tempi certi e ragionevoli al giudizio, si prescrive altresì che la “mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni (dalla sentenza di primo grado), e del giudizio di cassazione entro il termine di un anno (dalla sentenza di primo grado), costituiscono cause di improcedibilità dell’azione penale”. Ma il principio della non decorrenza dei termini della prescrizione dopo la sentenza di primo grado è assurdamente contraddetto da questa seconda norma che considera “improcedibile l’azione, entro il termine di due anni dalla sentenza di primo grado, se si tratta di appello, e entro il termine di un anno dalla sentenza di appello, se si tratta del giudizio di cassazione”. Insomma, prima si afferma, e subito dopo si nega! E lo si fa mediante un errore di grammatica giuridica. In pratica, mentre la prescrizione, che è istituto sostanziale che riguarda il reato in sé, non si verifica, l’azione penale, e cioè un istituto processuale, diventa “improcedibile”, se la sentenza di appello non è emessa entro due anni dalla sentenza di primo grado e se la sentenza di cassazione non è emessa entro un anno dalla sentenza di appello. Un obbrobrio giuridico, come dicevo.

Ma questi termini hanno speranza di essere rispettati, al lato pratico?

Chi conosce i carichi della Corte d’appello e ancor più i carichi della Corte di cassazione, sa bene che questi termini non potranno mai essere rispettati. In tal modo, nel pieno rispetto delle teorie berlusconiane, si ottiene il risultato (che si voleva evitare con il blocco dei termini di prescrizione) di farla fare franca a chi ha commesso i delitti più gravi. Proprio un bel risultato! Il provvedimento adottato è comunque, a mio sommesso avviso, contrario all’art. 111 della Costituzione, il quale vuole che “la giurisdizione si attua mediante giusto processo regolato dalla legge”. L’articolo vuole cioè che il processo si svolga in tempi ragionevoli, ma non vuole assolutamente che “non si attui”.