Politica
Samorì (Mir): più merito meno burocrazia e una tantum sui grandi patrimoni
Sfida quotidianamente Di Maio, il candidato premier del M5S, sul terreno dei programmi e dell’esperienza così abbiamo chiesto a Gianpiero Samorì, avvocato e presidente del Mir, Moderati in Rivoluzione, di entrare nel merito delle sue proposte per cambiare l’Italia.
di L.E.
Presto andremo ad elezioni politiche. Il Mir vuole rinnovare il Belpaese a partire da imprese, famiglie e territorio ma con un debito pubblico vicino ai 2300 miliardi di euro e con le stringenti regole di Bruxelles quali leve pensate di utilizzare?
Il Mir, auspicabilmente assieme al Movimento Rinascimento di Vittorio Sgarbi, parteciperà alle prossime elezioni politiche con un programma assai diverso che si può compendiare in due slogan, tutto ai ceti medi produttivi nulla ai ceti parassitari e tutto all’arte, alla cultura all’ambiente e al territorio e nulla a chi specula inquina e distrugge ricchezze ineguagliabili.
Le leve da utilizzare per realizzare questi obiettivi sono diverse, passano tutte insieme dall’acquisizione da parte dello Stato di tutti i patrimoni delle Fondazioni, dall’abbattimento di tutti i costi di chi non produce, dalla riduzione fortissima dei costi di funzionamento delle Istituzioni che dovranno essere portati allo stesso livello di quelli delle altre nazioni fino alla richiesta di un contributo straordinario e di generosità a chi ha tantissimo.
L’insieme di questi interventi porterebbero nell’immediatezza circa mille miliardi di euro riducendo di pari importo il debito pubblico e consentendo così di finanziare sviluppo e crescita.
Il Mir nasce come ulteriore voce dell’ala moderata del nostro Paese ma la crisi economica ha fatto scivolare ed arretrare la classe media che ha sempre più bisogno di nuove idee e di nuove rappresentanze.
Gli interventi che ho illustrato, a favore dei ceti medi produttivi avrebbero anche lo scopo di ridurre il differenziale di crescita che è diventato eccessivo. La crisi ha colpito soprattutto i ceti medi produttivi, quelli cioè che rappresentano il nervo portante della nostra società e nei cui confronti lo Stato deve intervenire, con riduzione di imposte e di oneri burocratici e con interventi atti a favorire la ripresa del mercato creditizio.
Dopo il salvataggio da parte del Governo di alcuni istituti di credito che rischiavano il fallimento, si è appena insediata la Commissione parlamentare d’inchiesta seppur tra mille polemiche. Qual è il suo giudizio?
Credo che nessuno in realtà voglia in questo Parlamento sviluppare una seria indagine sul funzionamento del sistema bancario italiano perché tutti temono di scontrarsi con i veri poteri forti che sono quelli finanziari. Per me però il problema non è quello di indagare su chi sia responsabile ma di comprendere cosa fare per superare l’assenza di credito per i giovani che si avviano ad una attività d’impresa e per i ceti produttivi. Qui bisogna ottenere dall’Europa una modifica dei criteri di Basilea 3 per aziende con fatturati inferiori ai cinque milioni di Euro annui perché diversamente il 90% delle aziende italiane non essendo in grado di soddisfare i ratios patrimoniali voluti dalla normativa comunitaria saranno escluse dal mercato del credito. Allo stesso tempo i giovani capaci e meritevoli che non hanno disponibilità non potranno mai più realizzare i progetti imprenditoriali determinando nel tempo una desertificazione imprenditoriale dell’Italia.
I dati statistici ci dicono che all’incirca 15 milioni di italiani vivono in una condizione di indigenza relativa o assoluta. In Europa siamo fra i Paesi che crescono di meno. L’Italia sta diventando un paese sempre più povero?
Purtroppo è vero che l’Italia sta diventando un paese sempre più povero. L’assenza di credito per i meritevoli non abbienti, le barriere all’ingresso quasi insormontabili per tutte le attività, il clientelismo e la burocrazia uccidono il naturale dinamismo che produce ricchezza, frenano quindi lo sviluppo. Prova ne sia che, tantissimi giovani italiani si trasferiscono all’estero ove ottengono strepitosi successi. Quindi non sono le qualità personali che mancano ma è il sistema paese che impedisce a queste qualità di esplicare le loro enormi potenzialità.