Politica
Trema la renziana Serracchiani. Friuli, la mina del Mediocredito
di Andrea Deugeni
@andreadeugeni
Prima le Cooperative Operaie di Trieste. Poi la Coopca di Tolmezzo, in provincia di Udine. Ora il Mediocredito Friuli Venezia-Giulia, di cui nessuno parla però. I ruoli istituzionale di controllo e d'indirizzo della gestione (specialmente questo secondo nel caso del Mediocredito) non sono di certo le skill migliori della governatrice della Regione Fvg Debora Serracchiani. Rottamatrice numero due del nuovo Pd a marchio Renzi e, maligna qualcuno, troppo impegnata, a Roma e negli studi televisivi per la sua scalata al potere politico nazionale, per accorgersi delle magagne che stanno esplodendo qua e là a Nordest. C'è di più: se fosse già diventata legge la delega sulla riforma Madia della Pubblica Amministrazione in discussione ancora in Parlamento, norme che puniscono con il commissariamento le società partecipate pubbliche locali che chiudono tre bilanci consecutivi in perdita, individuando anche le responsabilità di sindaci e di presidenti di Regione, la Serracchiani avrebbe già pagato caro il suo non esser riuscita, come azionista di riferimento (con oltre il 50% del capitale), a far ripartire in tempo la redditività del Mediocredito. Finendo, anche formalmente, sul bancone degli imputati.
Si tratta di numeri e contorni più piccoli, ma la poca accortezza nella gestione dell'istituto di credito speciale nato a Nordest a fine anni '50 (addirittura prima della costituzione della Regione Autonoma Fvg) non ha nulla da invidiare a quella che ha provocato il progressivo indebolimento di alcuni grandi istituti nazionali. Così, il prossimo caso finanziario che potrebbe deflagrare in stile Mps o Banca Carige (con pesanti ricapitalizzazioni per la Regione al termine di più esercizi in perdita, in cui anche BankItalia ha dovuto inviare i propri ispettori per indicare al management del Mediocredito Fvg il da farsi) non accade al Sud o al Centro, come quello di Banca Popolare di Spoleto, ma nell'operoso Friuli. "Terra del buon governo" e di Pmi, dal "glorioso" retaggio (amano dire da quelle parti) austro-ungarico, spesso citata assieme al Veneto come esempio di economia funzionante nel confronto con le altre zone del Paese e non certo terra di spreco di denaro pubblico. Denaro che al contrario, assieme a quello privato (che salvo errore avrebbe dovuto rimanere nella Provincia di Trieste) investito dal 2003 in Mediocredito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste, secondo socio con il 34% e anche azionista di UniCredit, avrebbe potuto essere riversato sul territorio regionale attraverso le erogazioni per l'istruzione, lo sviluppo, la cultura e l'assistenza. Insomma, un conto salato che in tutto si aggira nell'ordine di 150 milioni di euro, mai contati.
La vicenda. Il Mediocredito Fvg, istituto che al momento ha un solo "gemello" superstite in tutta Italia (l'altro esemplare è in Trentino-Alto Adige), è specializzato sulla carta nella valutazione prospettica delle aziende per concedere prestiti a lungo termine. Solo sulla carta, però, perchè con lo scoppio della crisi finanziaria mondiale del 2008, la recessione e la contrazione della domanda di credito degli anni successivi e il moltiplicarsi delle sofferenze che ne hanno azzerato negli ultimi tre anni l'utile netto per i necessari accantonamenti a bilancio, si è messo a spingere sulla raccolta in stile Conto Arancio o novello istituto che deve imporsi sull'agguerrito mercato del credito offrendo rendimenti più alti rispetto alla media nazionale. Finendo anche col mettersi a fare concorrenza alle stesse banche azioniste (Friuladria, Federazione dei Crediti Cooperativi, Cassa di risparmio del Fvg del gruppo Intesa, UniCredit, Veneto Banca e Banca popolare di Cividale).
Il motivo? Incrementare i volumi da destinare alle nuove attività sul breve senza rafforzare parallelamente il patrimonio. Una strategia aggressiva che ha stravolto la tradizionale mission per cui la banca regionale è nata, a cui si è aggiunta la ciliegina sulla torta dell'abbandono di un altro business già presente nelle proprie corde e alternativo al credito bancario come il leasing, per abbracciare poi invece il credo dei prestiti a breve termine. Concessi, però, con rischi maggiori. Il tutto, con una piccola quadratura del cerchio attraverso una sforbiciata alla parte fissa e variabile dei salari dei propri dipendenti e nel silenzio assordante del principale azionista ovvero la Regione Fvg che sembrerebbe aver appaltato dal 2004 la gestione e il controllo alla Fondazione CrTrieste. Lasciando intendere di aver abdicato al proprio sacrosanto diritto di dettare l'indirizzo industriale nella propria controllata, di fatto, la Regione della Serracchiani è andata contro i propri interessi: ha lasciato sprecate, cioè, le potenzialità del suo braccio di corporate banking nel finanziare la ripresa dell'economia regionale.
E così, se prima del 2009 il Mediocredito è stato un gruppo performante con risultati reddituali in crescita che faceva capolino anche nel tessuto industriale del vicino Veneto, gli utili dal 2009 in poi si sono fatti sempre più risicati, facendo venire al pettine i nodi man mano che sono cresciute le sofferenze, le rettifiche di valore e gli accantonamenti per prestiti alle Pmi finite in default. Trend che ha avuto il suo epilogo negativo nel 2012, quando il bilancio, per la prima volta nella storia ultracinquantennale dell'istituto, si è chiuso con una perdita di esercizio di 7 milioni (dopo 32 milioni di write-off; 18 nel 2009, 24 nel 2010 e 14 nel 2011). Nel frattempo, anche su pressing della Banca d'Italia che ha inviato a Nordest i suoi occhiuti ispettori, la proprietà ha messo in cantiere due aumenti di capitale nel 2010 e nel 2012. Ricapitalizzazioni non sufficienti a cui ne è seguita una terza nel 2013 (dopo il nuovo rosso da 62 milioni e un altro blitz degli arrabbiati controllori di Via Nazionale), da 100 milioni. Aumento che la Regione, per non incappare nella censura di Bruxelles sui vietatissimi aiuti di Stato, ha sottoscritto per la sua quota fino a un certo punto, mentre la Fondazione guidata da Massimo Paniccia si è defilata e ha iniziato a valutare la cessione del pacchetto azionario costato al momento della sottoscrizione del capitale nel 2004 63 milioni di euro (più le preziose risorse degli aumenti sottoscritti pro-quota poi). Cosa ha fatto allora la Serracchiani? E' uscita dall'empasse rastrellando le risorse necessarie a rafforzare il patrimonio del Mediocredito con un prestito obbligazionario da 50 milioni in cui ha imbarcato anche le conterranee Assicurazioni Generali di cui non è chiaro il disegno vista la focalizzazione sul core-business delle polizze nella svolta Greco.
Il resto è storia di questi giorni. Nel preconsuntivo, il gruppo ha fatto sapere che il 2014 si è chiuso ancora con un perdita che dovrebbe aver dimezzato il risultato negativo del 2013 e nel nuovo piano industriale il management avrebbe promesso il ritorno all'utile nel 2016. Nel frattempo, però, è arrivata la mazzata dell'agenzia di rating Fitch che ha downgradato Mediocredito (da "BBB+" a "B", perché le limitazioni previste dalla Direttiva europea e dalle normative comunitarie in materia di aiuti di stato "possono condizionare il supporto fornito dalla Regione alla banca in un'eventuale situazione di stress severo") e il manifatturiero nordestino, con circa la metà delle imprese colpita da chiusure, ristrutturazioni e Cig, sta continuando a pagare un pesante tributo alla crisi. Forse, una strategia ancora incentrata sul solo territorio del Fvg e non estesa invece fuori dai confini regionali (come fa il Mediocredito del Trentino) a tutto il Triveneto non è la migliore assicurazione per riportare la banca all'utile nei tempi previsti. La Serracchiani potrebbe capirlo. Se solo avesse la testa più in Regione, malignano a Trieste...