Ora che tutto si è evangelicamente compiuto con l’uscita di scena dell’ennesimo “uomo nuovo” italiano, Matteo da Firenze, è il tempo dell’analisi di quasi tre anni di gestione selvaggia ed autocratica del potere di fatto una dittatura dolce come si usa in questi tempi di voluta ambiguità lessicale.
Renzi il furbo, Renzi lo scaltro, Renzi il diversamente populista, Renzi lo strafottente -ora il “stai sereno” a Enrico Letta si rivolge contro di lui-, Renzi il finto rottamatore finito rottamato (e poi si dovrà aprire anche un discorso sulla capopolo Serracchiani e il suo opportunismo), Renzi l’ “amico di Obama” -che ha schierato istituzionalmente l’Italia per un perdente inimicandosi gli Usa-, Renzo l’ “omo de Rutelli” che se lo è cresciuto a panini al prosciutto e Clinton, Renzi il finto Savonarola che sta facendo la stessa fine del domenicano fiorentino (to’, anche lui della stessa città…).
Ma su Renzi ci sarà tempo di studiare la sua fenomenologia di non eletto che ha fatto carriera solo tramite le primarie, impadronendosi con l’astuzia di un intero partito che aveva comunque una grande tradizione e non è condivisibile l’editoriale di oggi sul Corriere della Sera di Massimo Franco che parla di “errori collettivi del Pd” vista la forte opposizione interna alle riforme.
Oggi ci vogliamo invece occupare di una figura che è stata l’alter Ego di Renzi, la cosiddetta “intelligenza occulta” (nel senso che non si vede molto, stando almeno ai risultati disastrosi del referendum) e cioè quel Filippo Sensi, ex vice-direttore di Europa, creaturona anch’esso di Francesco Rutelli di cui è stato il portavoce parlamentare.
Sensi per tre anni ha fatto e disfatto tutto quello che concerne la comunicazione, sia di partito sia -soprattutto- istituzionale.
Sensi ha gestito la Comunicazione di Palazzo Chigi come il MinCulPop fascista (famosa la sua lista di sms serali ai giornalisti “amici” e per gli altri a letto senza cena) colpendo senza pietà i giornalisti e i mezzi di occupazione che si opponevano al controllo centralizzato della Verità.
Sensi che guadagna una cifra spropositata - 169.556,86 € anche rispetto al suo premier 114.000 €-, Sensi il censore di Palazzo Chigi che decide chi può accedere al Sacro Bambinello (invero abbastanza imbolsito dai fasti del potere) oppure no, è il principale responsabile del disastro comunicativo che ha portato il suo Re ad abdicare in una triste giornata di dicembre e questo va detto forte e chiaro.
Forse questo Renzi non lo ha neppure capito, perseverando nell’errore e salutandolo anche ieri sera in conferenza stampa mentre lui si gigioneggiava in lontananza non avendo ancora probabilmente che la cuccagna era finita e gli aerei blu e le delikatessen presidenziali diverranno presto un lontano ricordo di un Paradiso perduto.
Errori a iosa, antipatie personali, anni di angherie subite da chi osava criticare l’impero (di cartapesta) del giglio fiorentino lo hanno portato ad avere nemici ed antipatie ovunque.
Sottovalutazione degli avversari, sopravalutazione degli amici e scarsa considerazione degli indecisi lo hanno condotto al disastro insieme al suo re.
Famosa la sua gaffe su WhatsApp strumento informatico “nerd” il cui uso pasticciato gli ha procurato un bel po’ di problemi; nel tentativo di delegittimare Di Battista si inventa un:
“Proviamo a menare Di Battista sul discorso della Libia ricordandogli l’Isis”, rinvangando vecchie dichiarazioni; però sbaglia mira e manda il messaggio ai giornalisti non ai suoi collaboratori. Disastro ed imbarazzo poi peggiorato dalla toppa: “Scusate, ho postato per errore il messaggio di un parlamentare”.
Non ci mancheranno dunque le sue immagini twitter in banco e nero inviate dai party esclusivi alla Casa Bianca insieme al prode Benigni (a proposito, ora il comico toscano dirà che ha scherzato sulla Costituzione “più bella del mondo”?) o dai Palazzi del Potere, facendo però la manfrina minimalista del “sto a prenne un the a Spinaceto da mi socera”, secondo la Bibbia dei radical - chic.
Il suo impronunciabile nickname su Twitter è indicativo della sua personalità, si fa chiamare “nomfup” e cioè “not my fucking problem”, “non è un mio fottuto problema”.
Ora, invece, per Filippone sarà proprio un suo fottuto problema trovare un lavoro dopo il deserto che si è creato intorno.
In acronimo imfp, “is my fucking problem”…