Virginia Raggi e la patata bollente: ecco perché Feltri ha ragione
Il titolo di Libero "Patata bollente" su Virginia Raggi può anche essere condannabile, ma illustra una rivoluzione tutt'altro che maschilista
Il caso della “patata bollente” di Virginia Raggi sbattuta in prima pagina da Vittorio Feltri non accenna a estinguersi, e da qualche ora il direttore di Libero è letteralmente sotto processo. Sui social e sui giornali non si parla d’altro, perfino il Festival di Sanremo è stato eclissato dalla diatriba del momento. Non si erano ancora placate le polemiche riguardanti il feroce battibecco fra Asia Argento e Giorgia Meloni, che la prima aveva offeso pesantemente sui social rubandole una foto del tutto ordinaria in un contesto del tutto innocente, ed ecco deflagrare un altro caso mediatico che ha diviso l’opinione pubblica e che ha prepotentemente riaperto il dibattito sul giornalismo “sessista”.
Virginia Raggi ha ricevuto attestati di solidarietà bipartisan, dal PD, al Presidente del Senato Grasso, alla Presidente della Camera Laura Boldrini, la prima – costei – che da anni è di continuo triturata dai media che fanno capo alla Casaleggio & Associati. I pentastellati, che avevano riso di gusto quando era stata Maria Elena Boschi a essere icasticamente “trivellata” per usare le parole di Marco Travaglio, guru di riferimento del M5S, o dileggiata con una caricatura e con il titolo “Lo stato delle co(s)ce", si sono strappati tutto lo strappabile condannando con forza le parole di Feltri, le quali – al confronto degli insulti rivolti negli anni dai grillini a Mara Carfagna, a Maria Stella Gelmini, a Daniela Santanchè, alla già citata Boschi o ad Agnese Renzi e perfino Bebe Vio in occasione della visita alla Casa Bianca – sembravano tratte direttamente da una canzone dello “Zecchino d’Oro”.
D’accordo, il titolo è audace e potrebbe essere anche condannabile, ma quante persone hanno letto veramente l’articolo di Vittorio Feltri? Il pezzo del direttore, se vogliamo dare retta a Vittorio Sgarbi invitato da Lilli Gruber, ha una valenza “letteraria” e, a nostro parere, sul piano semantico la dissertazione è del tutto rivoluzionaria.
Paradossalmente, infatti, l’articolo di Feltri ribalta completamente la natura dell’annoso legame fra uomo, donna e potere, e ci offre un nuovo punto di vista sul cambiamento subìto dal rapporto fra i due sessi. Feltri cita Silvio Berlusconi e le sue donne, che come – giustamente – ricorda il direttore, il Cavaliere pagava di tasca sua, mentre – se dobbiamo dar retta all’assessore caduto in disgrazia Berdini – l’amante di Virginia Raggi, Salvatore Romeo, è stato appioppato al contribuente al triplo dello stipendio precedente.
Ma è leggendo fra le righe di Feltri che si comprende la portata rivoluzionaria della situazione: nel paese più maschilista del mondo, laddove le donne sono viste spesso come pupattole al servizio del potente di turno schiavo del proprio “uccello”, oggi avviene il contrario. Non è più la favorita a fare carriera alla corte di un uomo potente, bensì è una donna arrivata al potere che, sempre stando alle parole di Berdini, promuove il proprio amante nelle istituzioni.
A questo punto, se tutto questo risponde al vero, per quale motivo dovebbe essere normale che Silvio Berlusconi per anni venisse sbattuto in prima pagina e schernito dai titoloni con epiteti assurdi, uno fra tutti “Cavalier Pompetta”? Se il “membro vivace” di Silvio Berlusconi ha fatto la Storia degli ultimi vent’anni e si sono profusi fiumi d’inchiostro sulle sue amanti vere, le “Olgettine”, e quelle presunte, quelle che – approdate nelle istituzioni dopo regolari elezioni – sono poi state massacrate dai mass media e dilaniate dagli insulti dei grillini in primis, perché si grida allo scandalo se lo stesso trattamento viene inferto a Virginia Raggi? Non è forse la dimostrazione che le donne arrivate al potere, nel momento in cui c’è di mezzo una “relazione sentimentale” (per usare le parole di Salvatore Romeo) con un collaboratore – in questo caso premiato con una carica e con uno stipendio importanti – subiscono lo stesso trattamento riservato agli uomini? Per quale motivo dovrebbe essere normale che un uomo venga considerato una sorta di creatura acefala dominata dai propri istinti sessuali, mentre se si allude che una donna possa avere gli stessi appetiti e, complici i quali, favorire un collaboratore maschio, si grida allo scandalo? Perché “Cavalier Pompetta” dev’essere meno grave di “Patata Bollente”, insomma?
Non è forse la dimostrazione, e finalmente, che le smanie di potere non hanno sesso e che ora sono gli uomini a far carriera grazie a un’amicizia femminile potente? Con l’approdo dell’amministrazione pentastellata al Campidoglio assistiamo dunque a una rivoluzione culturale e di costume, e si attua finalmente quello stato di parità fra i sessi tanto agognato dalle femministe e dalle stesse parlamentari pentastellate – che, dopo aver massacrato la Raggi pubblicamente e nelle chat private – oggi fanno quadrato attorno a lei, quali per esempio Roberta Lombardi e Paola Taverna.
Le stesse che, nel video di un evento a 5 stelle, dileggiano pesantemente Lilli Gruber alludendo fra risate e lazzi vari a un uso smodato di botox e a un suo presunto asservimento ai media di regime. Ma come per lo psiconano, per l’ebetino, per l’ebolino, per la “troiKa”, per la salma, per la sosia di Luxuria, per la vecchia puttana (come Grillo definì Rita Levi Montalcini) e altri mirabili esempi d'insulti rivolti a uomini e donne dal guru dei grillini e dai suoi adepti, non è l’onestà ad andar di moda sulle passerelle del pianeta Gaia, bensì la doppia morale.