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'Ombre della Sera' il docu-film sulla sfida del reinserimento

Duro, sconvolgente e al contempo intriso di caparbietà: gli stessi elementi alla base della vera sfida per chi ha attraversato l’inferno della detenzione e si appresta al cosiddetto “re-inserimento” sociale, familiare e psicologico.

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“Ombre della Sera” è il docu-film di Valentina Esposito (opera prima), prodotto da Simonfilm e Lupin Film, che racconta il mondo degli affetti di detenuti in misura alternativa ed ex detenuti che 'tornano a casa', tra rimpianti e una vita da ricostruire, proiettato anche a Bari al Cinema Esedra, preceduto da un incontro-dibattito con uno dei produttori, Riccardo Neri.

Prim’ancora che un film, “Ombre della Sera” è un progetto che intende non solo ‘raccontare’ il dolore non sempre silenzioso, ma il più delle volte invisibile, di chi vive dietro le sbarre e deve fare i conti con la vita 'fuori', ma anche puntare l’occhio di bue sulle possibilità concrete, per gli ex detenuti - col progetto diventati anche attori - di costruirsi una seconda opportunità professionale.

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Realizzato con il Patrocinio del Ministero della Giustizia, del Consiglio Regionale del Lazio, riconosciuto di interesse culturale dal Mibact Direzione Cinema e sostenuto dal Fondo Cinema e Audiovisivo della Regione Lazio, “Ombre della Sera” sta effettuando una sorta di ‘pellegrinaggio promozionale, più che penitenziale’, nelle sale con una distribuzione indipendente, nelle carceri, nelle università e nel mondo associazionistico delle città italiane.

Interpretato da detenuti in misura alternativa e da ex detenuti attori del Carcere di Rebibbia (oggi attori della compagnia Fort Apache), trae ispirazione dalla biografia dei protagonisti e delle loro famiglie, per svelare allo spettatore l’aspetto più intimo e delicato del percorso di reinserimento. Intrecci di storie non per evadere, ma per affrontare la nuova realtà spesso simile a un labirinto, talvolta capace di far rimpiangere le celle e i corridoi di cui ci è liberati. Vinti che provano a diventare vincenti, nel tentativo di espiare le proprie colpe e ridare senso, ricostruendole, alle proprie vite.

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“Ombre della Sera - sottolinea la regista Valentina Esposito - è un film sul ritorno: il ritorno a casa e agli affetti dopo anni di lontananza e separazione. Mi sono mossa con discrezione tra la verità e la ricostruzione cinematografica per raccontare la condizione emotiva di chi è condannato per sempre a vivere tra la vita dentro e quella fuori dal carcere, tra le ombre del passato e il bisogno disperato di ritrovarsi nel presente”.

E’ dai tempi di Cesare Beccaria e del suo ‘Dei delitti e delle pene’ che il modello italiano è riconosciuto e apprezzato dai sistemi giudiziari di quasi ogni angolo del mondo: mentre è di pochi giorni fa l’ennesimo riconoscimento e attestato di stima portato a Milano dalla Rete Internazionale di Eccellenza Giuridica, dal suo presidente brasiliano Leo Da Silva Alvès, e dall’Istituto Diplomazia Europea Sudamericana.  

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Ed è scolpito nell’Art. 27 della Costituzione Italiana il compito della pena detentiva, con la funzione ben precisa di inestimabile valore sociale: "Sostenere e accompagnare i cittadini reclusi in un percorso di rieducazione e riabilitazione, che dovrebbe metterli in grado, una volta scontata la condanna, di reinserirsi socialmente e professionalmente nella collettività civile".

Un percorso ancora tutto da compiersi. Perché il carcere, purtroppo, è ancora largamente considerato luogo di espiazione fine a se stesso. Uno dei pregi di “Ombre della sera” è lo sforzo di provare ad accende i riflettori sulle vicende legate alla detenzione: prima, durante e dopo la pena.  Nonostante la detenzione resti un timbro ancora indelebile sul curriculum.

Tra l’altro, nel complicato e non facile percorso del reinserimento, il rischio della ricaduta ha indici elevatissimi, dato che paradossalmente tornare a delinquere spesso resta l’unica cosa che gli ex detenuti siano capaci di fare, nel tentativo di “riconquistare” il rifugio che tra le sbarre è sovente percepito ormai come una seconda casa.

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“Questo docu-film - è emerso anche dal dibattito che ha proceduto la proiezione barese - non vuole stimolare false compassioni, ma desidera evidenziare quanto ancora poco si faccia per coloro che mostrano reali intenzioni di cambiamento: ci sono anche persone che vivono il carcere come un passaggio obbligato, che li porterà alla riabilitazione. Molto spesso questa - però - non arriva, perché durante il “soggiorno” gli ospiti non vengono preparati al futuro”.

L’auspicio finale è quello di recuperare, in maniera diffusa, il concetto “largo” dell’accoglienza, da declinare ben oltre i soli e drammatici flussi migratori, per presidiare la nuova frontiera della sfida- confronto fra civiltà e inciviltà. Una sorta di adattamento a soggetto tra la parabola del “Figliol prodigo” e quella della “Pietra di scarto, che diventa testata d’angolo”.

(gelormini@affaritaliani.it)

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