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Roma

La sua presenza ha cambiato le “sorti” della Procura di Roma, dissipando la coltre di nebbia che avvolgeva gli uffici di piazzale Clodio. Soprannominato il “mastino gentile”, esperto di lotta alla mafia, anzi alle mafie, Giuseppe Pignatone “guida” la capitale dal 2012. Il suo è un curriculum da “vip” della magistratura.  
Prima a Caltanissetta, poi a Palermo, poi dal 2008 al 2012 la sua vita si è spostata a  Reggio Calabria. Nel capoluogo siciliano collabora con Pietro Grasso, allora procuratore capo e poi procuratore nazionale antimafia. A Palermo fa condannare numerosi capi e gregari dei clan, segue l'indagine sulla strage di Capaci che porterà all'arresto di Totò Riina, coordina quella su Bernardo Provenzano; fa incriminare, negli anni Ottanta, l'ex sindaco Vito Ciancimino, poi condannato per mafia e firma l'inchiesta che porterà alla condanna a sette anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra dell'ex presidente della regione Totò Cuffaro.
Arriva a Roma e ad appena due anni di distanza scoppia lo “tsunami” Mafia Capitale, di cui lui è il padre a tutti gli effetti. Nella sua squadra romana ci sono magistrati, investigatori, poliziotti, carabinieri e finanzieri che lo hanno affiancato anche in passato: da Michele Prestipino, suo braccio destro a Palermo, a Sara Ombra, a cui si deve l'inchiesta calabrese sull'ex governatore Giuseppe Scopelliti; da Renato Cortese, ex capo della mobile di Reggio, poi di quella romana, oggi capo dello Sco e membro del gruppo che incastrò Provenzano, a Stefano Russo, capo dei Ros di Reggio Calabria e poi del Lazio.

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