Roma

Processo penale: riti e storture con ironia, romanzate da Marcello Vitale

Marcello Vitale è l'autore di “La donna della panchina”, romanzo del “baraccone giudiziario”. La recensione

di Patrizio J. Macci


Il titolo ricorda i romanzi della coppia Fruttero & Lucentini, il romanzo di Marcello Vitale “La donna della panchina” (Koinè Edizioni) è invece un robusto legal thriller scritto in prima persona con venature ironiche e sarcastiche sul processo penale, i suoi riti e le sue storture.

L'autore, magistrato consumato, dispone i suoi personaggi intorno al più classico degli eventi: l'omicidio efferato di una donna in fuga da un uomo violento da lui conosciuta casualmente sulla panchina di un parco. I personaggi sbozzati da Vitale si agitano nel gran teatro giudiziario, un “baraccone” dove gli esseri umani sono “attori che nell'adeguarsi all'inarrestabile mutare degli scenari, cambiano sul proscenio, con l'agilità di un Fregoli, di continuo le maschere”. Ogni cosa muta a seconda delle circostanze: l'avvocato spietato e determinato diviene un cucciolo di felino pochi minuti dopo che è passata l'emergenza del momento. Nulla di più ovvio che sorbire con lui un caffè nel bar del “palazzo”. Un mondo dalle atmosfere spesso manzoniane, un micrososmo nel quale si possono osservare al microscopio le storture della società. Aurelio Rasselli, la voce narrante, è un uomo solo, divorziato, che si dibatte tra un figlio inetto nello studio del latino e uno stuolo di collaboratori da muovere come pedine per il raggiungimento della verità e assicurare alla giustizia l'assassino della donna della panchina. Quando c'è da muoversi e scattare, nonostante il torpore della vita d'ufficio, al trepidare delle macchine da scrivere il Procuratore sostituisce l'adrenalina dell'esperienza e non ce n'è per nessuno.

Vitale non risparmia stoccate ai tic linguistici che regolano i rapporti formali, alla banale ritualità dei rapporti d'ufficio. La malinconia profusa dall'armadio colmo di documenti di un collega deceduto pochi mesi dopo essere andato in pensione è il monito che nulla di eterno può essere scolpito dagli uomini della legge, i fascicoli si ammucchiano in maniera disordinata sulla scrivania ma le loro carte contengono i destini di esseri umani. Questo al protagonista non sfugge mai: con il solo acciaio delle manette degli esseri umani non si capisce nulla

Qualcuno che riesce a farla franca comunque c'è sempre, un pesce troppo grande che sfonda un buco della rete e fugge via, senza rispondere della propria inettitudine professionale.
Alla fine, con un guizzo della trama elegante e per niente scontato, la verità trionfa. Senza dimenticare però che “summum ius summa iniuria”.