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Fisco e Dintorni
Il socio non lavoratore non paga i contributi

Secondo quanto stabilito dalla sentenza n.3886/2023 del Tribunale di Milano, l’Inps non può richiedere il pagamento dei contributi a chi, pur essendo socio di una società di persone, non lavora attivamente nella compagine sociale. Analisi del caso.

 

Il Tribunale di Milano, Sezione lavoro, ha recentemente esaminato il caso di una contribuente che si è trovata al centro di una controversia previdenziale con l’INPS (sentenza n.3886/2023 del Tribunale di Milano passata in giudicato nei giorni scorsi).

In particolare, la vicenda ha preso avvio da un avviso di addebito emesso dall’INPS che le richiedeva il pagamento di migliaia di euro per contributi previdenziali e sanzioni sulla base della mancata iscrizione alla Gestione Commercianti in virtù del suo ruolo di socio amministratore in una società Snc, successivamente trasformata in una società S.r.l.

La contribuente, assistita in giudizio dallo studio legale Sances, ha contestato l’avviso di addebito ricevuto per due motivi principali:

  1. la mancanza di motivazione dell’atto;
  2. la mancanza dei presupposti per l’iscrizione d’ufficio alla Gestione Commercianti.

Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso della contribuente statuendo che per l’iscrizione alla Gestione Commercianti è necessario che ricorrano i presupposti richiesti dalla legge (ossia che il socio partecipi abitualmente all’attività aziendale) e che, ad ogni modo, l’onere della prova è a carico dell’INPS.

Come infatti si può leggere nella predetta sentenza: “…l’obbligo di iscrizione alla Gestione commercianti sorge in forza del disposto degli articoli 3-bis del L. 384/1992 e 1, commi 202 e 203 della legge 662/1996, i quali dispongono: “l’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge 22 luglio 1966 n. 613, sussiste per i soggetti che (…) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza”. L’obbligo assicurativo, dunque, sorge in presenza di un requisito oggettivo e di uno soggettivo. L’onere di provare l’esistenza del rapporto lavorativo in caso di accertamento è a carico dell’Istituto l’onere della prova

La contribuente, nel corso del processo, non solo ha dimostrato di non partecipare all’attività aziendale, ma ha anche rilevato come l’INPS non potesse pretendere alcun contributo senza dare prova dello svolgimento dell’attività lavorativa all’interno della società.

Nella sentenza, oltre al richiamo di pronunce della Cassazione (come ordinanza Cass. 10763/2018), si specifica: “L’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti sussiste solo ove il lavoro sia rivolto alla effettiva realizzazione dello scopo sociale, al suo raggiungimento operativo, attraverso il concorso dell’opera prestata a favore della società, con onere della prova gravante sull'INPS. Nel caso di specie, tale onere probatorio non è stato in alcun modo assolto dall’istituto, il quale non ha nemmeno articolato capitoli di prova in merito al carattere abituale e prevalente della attività prestata dalla ricorrente”.

L’iter logico-deduttivo effettuato, dunque, ha portato all’annullamento dell’avviso di addebito e alla condanna al pagamento delle spese di lite dell’istituto. Il giudice infatti dichiara “Alla luce dei principi sopra riportati deve escludersi, nel caso concreto, la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione d’ufficio alla gestione commercianti, con conseguente annullamento dell’avviso di addebito impugnato. Le spese di lite seguono la soccombenza”.

La sentenza è passata in giudicato nei giorni scorsi e risulta di notevole importanza, in quanto solleva rilevanti questioni sulla corretta interpretazione delle norme previdenziali e si pone come importante precedente per tutti i casi in cui l’INPS emana avvisi di addebito illegittimi senza dar prova delle ragioni delle sue pretese.

Dott.ssa Giulia Frisenda 






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