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Welfare salute e comunicazione
Anaffettività e dipendenza da affetto: due facce della stessa medaglia
Oggi parliamo di....
Cosa è l’anaffettività? E cosa la dipendenza da affetto? “ E lo facciamo con una esperta quale è la D.ssa Sabrina Ulivi, del centro Clinico Ulivi di Pistoia.
“In un certo senso potremmo dire essere due diverse facce della medesima medaglia.” afferma Ulivi. “L’anaffettivo è colui che è incapace di “produrre” affetti mentre il dipendente affettivo è incapace di “vivere” senza un oggetto d’amore sul quale basare la sua intera esistenza. Sono entrambi comportamenti estremi, ma nel primo caso c’è l’incapacità di provare emozioni e/o, l’incapacità di avere accesso alle emozioni, che non riesce a far emergere più per paura di restare feriti che per effettiva assenza di sentimenti.”
In ambito della Psicologia, si legge, questo non appare come una sindrome ma proprio come una causa. Cioè, qualcosa che proviene da altro vissuto.
“Non è affatto una patologia. E’, appunto, una conseguenza di un vissuto, magari antico. Sarebbe importante per chi ne ritiene la necessità. capire l’insorgenza di questo atteggiamento, proprio per maggiore consapevolezza e comprensione, con un lavoro paziente su se stessi, sul proprio vissuto passato, sui personali apprendimenti emotivi e sentimentali. Per questo è consigliabile intraprendere un percorso di psicoterapia, per entrambi i casi, perché anche se può esser difficile da credere, l’anaffettivo e il dipendente affettivo possono aver condiviso un vissuto simile ma con una evoluzione emotiva che può contrapporsi in termini di reattività e passività. Nei casi che ho conosciuto ad oggi – aggiunge Ulivi- si tratta per lo più di soggetti che hanno alle spalle particolari situazioni traumatiche, di abbandono, di sensazioni di non amore che hanno poi generato dipendenza affettiva o comportamento di anaffettività. Il “dipendente affettivo” subisce passivamente l’atteggiamento e la paura dell’abbandono innescata in primis dalla figura di accudimento. È da qui che nasce il timore di essere sbagliato e non meritevole d’amore e vive nella costante paura di essere abbandonato, e nuovamente non riconosciuto anche da tutti. E’ questo timore che lo mette anche nella situazione di accettare (inoltre) relazioni più tossiche, di legarsi ad un narcisista o proprio a un anaffettivo stesso; questo, però, alimenta l’ancestrale sua credenza di non valere nulla. Di contro, pure l’anaffettivo ha in sè la paura dell’abbandono, ma ha messo in atto meccanismi diversi di difesa.
L’anaffettivo mette in gioco quello che viene definito un totale “ripiegamento emotivo”. Per non soffrire, si chiude, si organizza attraverso il distacco emotivo difensivo. Ovviamente tutto avviene a livello implicito (ovvero non cosciente). E’ una modalità di difesa che presuppone il negare, e negarsi, coinvolgimenti emotivi “perchè questi fanno soffrire”.
Possiamo quindi descriverle come le facce opposte della stessa medaglia perché sia l’anaffettivo che il dipendente affettivo falliscono nella regolazione delle emozioni e, in entrambi i casi, manca un profondo e intimo incontro con l’altro?
Non solo con l’altro, ma, e soprattutto, con se stessi.
Anche se non è facile da comprendere, è bene sapere che in entrambe le circostanze di vita ci troviamo di fronte a soggetti che possono condividere vissuti simili con evoluzioni affettive diverse.
La base comune è legata alla sofferenza di separazioni non riparative. Per evolvere dobbiamo separarci da chi si prende cura di noi, ma se questa separazione, in età precoce, non contempla un sentimento di sicurezza che deve nascere prima della rottura, il dolore e la paura prenderanno il sopravvento sulla speranza di un incontro ripartivo legato ad una affettività che continuamente si ripete.
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