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"Alessia Pifferi merita l'ergastolo. Era in grado di intendere e volere"

di Donal Cantonetti

Parla Martina Penazzo, criminologa e ricercatrice dell'Istituto di scienze forensi

CASO PIFFERI, PARLA LA CRIMINOLOGA E RICERCATRICE DELL'ISTITUTO DI SCIENZE FORENSI:  ALESSIA MERITA L'ERGASTOLO

Accusata di omicidio volontario aggravato per il decesso della figlia di diciotto mesi Diana, abbandonata nel lettino da campeggio il 14 luglio 2022 e ritrovata morta il 20 luglio, per Alessia Pifferi a processo di fronte la Corte di Assise di Milano, si prospetta la pena massima, cioè l'ergastolo. Il pubblico ministero  ha chiesto una pena elevatissima perché la donna è stata considerata dalla perizia psichiatrica del Prof. Pirfo capace di intendere e volere. Abbiamo voluto intervistare la criminologa e ricercatrice dell'Istituto di scienze forensi Dott.ssa Martina Penazzo per sgombrare il campo dalle interpretazioni dei fatti e rimanere invece concentrati su quanto la perizia di Pirfo ha concluso.

"Voglio precisare" esordisce la dott.ssa Penazzo "che in qualità di criminologa e ricercatrice dell'Istituto di Scienze Forensi è mio compito approfondire determinati casi giudiziari, soprattutto per fare chiarezza e rimanere focalizzati sulle evidenze e non sulle opinioni".

La perizia del Prof. Pirfo parla di "una personalità incapace di riconoscere, distinguere ed esprimere emozioni e sentimenti" .

"Già in questa prima fase appare chiara la configurazione della alessitimia, cioè di una condizione associata allo spettro clinico che riguarda la disregolazione emotiva, ma che non rappresenta un fattore di rischio di quella che può essere una patologia. Bisogna fare una distinzione cioè, fra quella che può essere una patologia e quello che può essere un deficit della regolazione affettiva".

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Si è parlato di analfabetismo emotivo.

"L'alessitimia si manifesta attraverso uno spettro di difficoltà rispetto alla capacità di identificare, descrivere ed interpretare i propri e gli altrui sentimenti. E successivamente di individuare le cause che determinano le proprie emozioni per risalire ad un fattore scatenante. Si aggiunge anche una difficoltà al livello di esposizione verbale per esprimere i propri sentimenti".

Pirfo nella sua perizia parla della Pifferi come di colei che "ha vissuto il proprio contesto familiare e sociale di appartenenza come affettivamente deprivante". Questa condizione l'avrebbe portata ad "avere una visione del mondo ed uno stile di vita caratterizzati da un'immagine di sé come ragazza e poi donna dipendente dagli altri (in particolare dagli uomini) per condurre la propria esistenza".

"In questo passaggio si delinea un'identità ancora non compiuta della donna, nella quale si configura la dipendenza dalla sfera maschile, ma anche un fallimento della stessa nel non riuscire ad identificarsi nel ruolo materno. Al livello criminologico, il Prof.Pirfo pone l'accento sul fatto che ci sia un'identità che non si sia completata, sviluppata.

E' una considerazione che antecede la spiegazione dell'omicidio per cui Pirfo sostiene che la Pifferi "ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto a quelli di accudimento materno verso la piccola Diana ed ha anche adottato un'intelligenza di condotta viste le motivazioni diverse dalle proprie scelte date a persone diverse che richiedevano assicurazioni sulla collocazione della bambina".

"In questo passaggio si evince la lucidità che ha mantenuto la Pifferi sia nel momento del fatto che immediatamente dopo, così come durante il processo. Pirfo evidenzia che c'è differenza fra quoziente intellettivo e capacità intellettiva. Se il quoziente intellettivo è una misura specifica di alcune abilità cognitive, esso non rappresenta un metro di valutazione completo rispetto all'intelligenza che comprende, oltre al quoziente intellettivo, anche altre caratteristiche. Ad esempio la capacità comunicativa, l'autocontrollo, le abilità sociali, l'autonomia personale, insomma tutta una serie di altre variabili. Non vi è dunque una disabilità intellettiva ed il basso quoziente intellettivo non deve essere per forza essere associato ad una disabilità intellettiva" 

Alla fine di queste considerazioni il prof.Pirfo conclude la sua perizia affermando che "l'imputata è capace di partecipare coscientemente al processo e che al momento dei fatti fosse capace di intendere e volere".

"Mi trovo concorde con quello che afferma il prof.Pirfo fino a che non vi siano evidenze scientifiche che provino il contrario. Ad oggi  non vi è documentazione che parla di disabilità mentale della donna e quindi non avrei motivi di credere che fosse incapace di intendere e di volere al momento del fatto. Questo anche considerando che durante il processo si è configurata molto più probabile la figura di una donna che, pur con il suo vissuto complesso, è stata capace di rendersi conto del valore dissociale dell'atto compiuto. Dal ritrovamento della piccola, ad esempio, dove la Pifferi ha pensato di lavare e cambiare la bambina e poi chiedere aiuto. Oppure, come riferito dalla vicina di casa, la Pifferi non dava segni di alterazione emotiva, visto che le ha chiesto: ma adesso mi portano in carcere? Lo stesso atteggiamento si evince durante gli interrogatori che ha subito: una distanza emotiva dal racconto personale rispetto ai fatti. Questa mancanza di empatia viene tra l'altro confermata anche dall'avvocato Pontenani (difensore della Pifferi n.d.r) che in svariate circostanze parla della donna riferendo di essere incapace di emozioni.

Rispetto alla sua descrizione, quello che emerge dal comportamento della Pifferi durante il processo è la sua lucidità. Per questo molti hanno parlato di una manipolatrice.

"Sono abbastanza distante da questa idea. Penso che sicuramente ha ucciso Diana, ma che non ci fosse premeditazione. Ma allo stesso tempo aveva gli strumenti per rendersi conto di quello che stava succedendo".

Non li ha volutamente considerati o non li ha superficialmente considerati?

"A mio parere non li ha superficialmente considerati".

C'è una strategia difensiva in aula, dunque.

"Ci può anche essere una rielaborazione personale. Sicuramente si tratta di un comportamento in contrasto con l'incapacità di verbalizzare tipica dell'alessitimia. C'è un aiuto esterno.

E secondo lei qual è stato il ruolo della famiglia?

"Credo che ci sia ancora molta confusione per riuscire a comprendere quanto la famiglia abbia avuto un ruolo in questo processo. Certamente aveva gli strumenti per capire che c'era un potenziale problema. Ma  altrettanto arduo è capire le dinamiche familiari che spesso sono insidiose: difficile cercare di comprendere cosa non ha funzionato. Penso che, comunque, ognuno ha le proprie colpe".

Lei si è fatta un'idea di come finirà questo processo?

"Credo che Alessia Pifferi sarà condannata, magari con uno sconto di pena come fu nel caso di Annamaria Franzoni nel caso Cogne.

Secondo lei Alessia Piferi merita l'ergastolo?

"Sì, secondo me sì. Fino a prova contraria era in grado di intendere e di volere".