Il senso dello studiare è la felicità

Massimo De Donno
Affari di Genio

Un quesito che viene spesso proposto in aula a scuola, agli studenti, è il seguente: a che serve studiare? 

Ad avere un lavoro e potersi dotare di un salario per poter provvedere al vettovagliamento familiare e alla copertura delle necessità  e magari anche alle richieste voluttuarie?

Per molti di coloro che vengono interrogati infatti, il concetto di studio è limitrofe all'idea del dovere, della cogenza sociale che impone l'apprendimento nozionistico come condizione calata dall'alto.

Approssimato per difetto invece, possiamo dire che il concetto di studio pertiene semmai all'idea della felicità, allorquando s'interpreti la felicità come lo strumento che misura la consapevolezza di ciascuno, ovvero ancora quando la cultura diventi il lievito di una crescita interiore agevolato dall' amore verso lo studio. E dove lo studio si trasformi in un anelito di dolcezza che trabocca pensiero, logos, e al contempo anche passione ed eros. 

Alla domanda sul significato dello studio noi di Genio Net, non abbiamo alcun dubbio: studio, in ultima istanza, è indagine, è interrogarsi, è guardare oltre e dentro. È un modo per attraversare l'anima delle persone a partire da noi stessi, dentro il quale si nasconde il senso della felicità. 

È ragione per cui   coniughiamo il verbo studiare a quello dell'amore, perchè lo studio è allo stesso tempo alterità e individualità, è l'io e l'es, il me, il noi, gli altri, ovvero l'intera gamma dell'umano che si riflette nei colori del cielo.

In ultima istanza dunque lo studio è felicità e anche per un pezzo, dolore. Perchè il dolore è l'altra metà del cielo dell'umano divenire. E dentro questa insondabile dimensione si racchiude e poi dischiude il generarsi della felicità.  È il progressivo passo avanti nella direzione di una perfetta sintesi dell'identità parcellizzata nelle fragilità dentro cui si staglia la grandezza della cultura e dello studio, strumento esegetico per la comprensione dell'umano.

Per questo lo studio altro non può essere che la grandezza del pensiero di Sofocle o di Heidegger, la tenerezza struggente di Nietsche, la razionalità di Kant, l'osservazione di Freud, il lirismo di Rachmaninov, la profondità di Dostoevskij. Sempre e comunque fonte di coscienza e di sapere. In ogni caso, sempre, parte del costrutto umano che anela all'infinito. 

Le nostre aule partono da un presupposto: portare i nostri ragazzi a innamorarsi dello studio e quindi della parte parte più profonda e radicata di sè.  

Per giungere infine alla piena coscienza di essere parte di un tutto. Dentro il quale si staglia l'idea stessa della felicità.

Max Rigano

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