Le Soft Skills sono un umano potere

Massimo De Donno
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Affari di Genio

Si chiama Erica Marri. È stata una giocatrice di rugby. Ha partecipato a 2 campionati del mondo con la Nazionale e a sette campionati europei. Praticamente, una veterana.

Ha smesso di giocare a 41 anni.

Da qualche anno si occupa di esercitare l'affascinante ruolo di coach, soprattutto nel mondo dello sport e di promuovere la conoscenza delle Soft Skills.

In modo particolare Erica si occupa di portare in aula la consapevolezza del ruolo che ha il corpo nell'espressione della nostra potenzialità. Della nostra energia, di quello che abbiamo dentro. "Giocando si pensa con le mani" è il suo mantra con cui prova ad illustrare la relazione tra le nostre emozioni, che sono le nostre potenzialità,  spesso inespresse

Secondo la Marri occorre uscire dall'inganno secondo cui esistano dei super eroi che entrano a fare parte della nostra memoria storica già da bambini. In realtà quella risorse eroiche sono dentro ognuno di noi, seppellite sotto un ego spaventato, tramortito dall'ansia di non riuscire. Avere la cognizione delle Soft Skills vuol dire riuscire attraverso il corpo a fare emergere le nostre emozioni, con cui facciamo fatica ad entrare in contatto. 

È per questo - sostiene - che la dimensione del gioco sia un modo attraverso il quale dare voce al pensiero, perchè il corpo genera una relazione diretta che permette alle mani, o ai piedi, oppure agli occhi, di dare una dimensione di significato ai nostri gesti. Un modo in cui il corpo pensa mentre si esprime.

Un passo denso d'impegno e di difficoltà quello di scendere dentro se stessi, eppure necessario e gratificante: una catarsi, una forma d"interlocuzione con sé stessi attraverso il quale s'ingaggia una sfida atta a renderci edotti del nostro lato oscuro, il lato della forza. 

Come una barca dentro il quale sono nascoste delle sorprese, quelle dell'umano potere. Un potere ancora sconosciuto ai più, ma che può condurre lontano. Dentro la parte più profonda di sè, dove si cela la natura vera identità.  

Ecco l'intervista

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Max Rigano