Trans, esibizione del Green Pass: un coming out forzato
Oggi, per molti individui transessuali, l'esibizione del Green Pass resta ancora motivo di imbarazzo e potrebbe sfociare in un coming out forzato
Esibizione Green Pass, troppo spesso una lesione alla privacy delle persone transessuali
L’obbligo di esibizione dell’ormai celebre “Green Pass” ha fatto molto discutere negli ultimi mesi, limitandosi però a dividere la popolazione fra favorevoli e non, e troppo spesso tralasciando di considerare chi vive quotidianamente sulla propria pelle le difficoltà che scaturiscono dalla scrupolosa applicazione della normativa anti-pandemica vigente. Come le persone transgender ancora vincolate alle generalità della loro vita precedente.
Il diritto alla privacy di questi individui, infatti, potrebbe essere leso ove si trovassero costretti a dover spiegare – magari di fronte a sconosciuti, perché in fila per entrare al ristorante, o a bordo di un treno – che il nome che compare sull’app di verifica e sui propri documenti non corrisponde al nome e al genere con i quali la persona è conosciuta socialmente, né al proprio aspetto, al proprio modo di essere, né tanto meno al proprio modo di sentirsi. Situazioni spiacevoli e di disagio, che spesso conducono a coming out forzati, tutt’altro che desiderati. Succede a chi ancora non ha ottenuto la rettifica dei dati anagrafici. Un iter legale che in Italia, quando è possibile, si trasforma in un processo lungo, costoso ed estenuante, che lascia di fatto molte persone sospese con documenti non corrispondenti alla propria identità.
Le associazioni che si occupano dei diritti delle persone trans hanno già provveduto a denunciare a più riprese il problema, chiedendo una modifica delle modalità di controllo del Green Pass, al fine di evitare pubbliche umiliazioni, nel massimo rispetto della riservatezza. Senza contare i numerosi episodi già segnalati, nei quali la persona trans titolare del Pass è stata accusata di essere in possesso di un certificato altrui, o falso, solo perché il nome riportato sui documenti non corrispondeva al proprio aspetto.
Troppe persone non sanno, e dunque non capiscono, cosa significhi per una persona trans essere continuamente e pubblicamente esposta a un contesto sociale impreparato a riconoscerla nella sua dignità, nonché a un contesto istituzionale che troppo spesso la misconosce apertamente.
La popolazione transgender costituisce a oggi, nel nostro Paese, una comunità attiva e resiliente, soprattutto a seguito dell’assunzione, da parte dell’autodeterminazione individuale, di un ruolo centrale nella società contemporanea, nella quale è la percezione psichica a definire l’identità sessuale, indipendentemente dal genere. Al mutamento socio-culturale è seguita, poi, una lenta evoluzione normativa, spesso sollecitata dalle pronunce giurisprudenziali, miranti a garantire visibilità e dignità giuridica alla popolazione transessuale.
L’Italia in realtà, con la legge 164/1982, è stata uno dei primi Paesi a legiferare in merito ai diritti degli individui transessuali e alla possibilità di ottenere la modifica del sesso ricevuto alla nascita e registrato all’anagrafe. Oggi, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 150/2011, i procedimenti per la riassegnazione del genere seguono un rito di tipo ordinario con la partecipazione del Pubblico Ministero davanti al Tribunale del luogo di residenza dell’interessato.
Nel giudizio è possibile chiedere l’autorizzazione per l’intervento chirurgico di riattribuzione di sesso e la contestuale rettificazione del nome e del genere anagrafico, oppure è possibile domandare solamente la modifica dei documenti anagrafici. Questa seconda opzione è divenuta possibile a seguito di due importanti sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale.
La Corte di Cassazione (sentenza n. 15138/2015) ha infatti dichiarato, anche se solamente nel 2015, la non indispensabilità del trattamento chirurgico di demolizione degli organi sessuali ai fini della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso. Si è stabilito che l’interesse pubblico alla definizione dei generi non può implicare il sacrificio dell’interessato alla propria integrità psicofisica ed è, quindi, rimesso al Tribunale il compito di verificare se, prescindendo dall’intervento chirurgico, l’interessato abbia già definitivamente assunto un’identità di genere.
Nello stesso anno, inoltre, la Corte Costituzionale ha ribadito (con sentenza n.221/2015) la centralità del ruolo del Giudice nel valutare l’opportunità dell’intervento chirurgico, fermo restando che il medesimo non deve considerarsi quale prerequisito della rettificazione dei documenti d’identità, bensì quale mezzo per la tutela del diritto alla salute dell’attore.
Proprio su questi principi si fonda una recente sentenza del Tribunale di Perugia (n. 70/2022) che, intervenendo sulla peculiare situazione di un individuo trans che combatteva ogni giorno con le discriminazioni legate ai propri dati anagrafici riportati sul Green Pass, ha ribadito ancora una volta come l’intervento chirurgico di modifica dei caratteri sessuali non sia un requisito per la rettifica dell’attribuzione di sesso nel registro anagrafico, ma sia unicamente indispensabile l’accertamento di una disforia di genere e il completamento del percorso di mutamento della propria identità di genere, in termini irreversibili.
Ne deriva, pertanto, che l’intervento di demolizione degli organi sessuali dovrà essere autorizzato dal Giudice solo quando in corso di causa sia provato che il benessere psicofisico del soggetto transessuale sia compromesso dalla divergenza tra il suo sesso anatomico e la sua psico-sessualità. La domanda dovrà quindi essere accompagnata da una documentazione psico-diagnostica e da una documentazione medica che attestino il percorso di affermazione di genere, la volontà irreversibile di rettificare la propria identità anagrafica, la immedesimazione definitiva nel genere vissuto e percepito come il proprio ed, eventualmente, la volontà di sottoporsi a intervento chirurgico di riassegnazione del sesso.
La sentenza passata in giudicato verrà, poi, trasmessa dal Tribunale all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di nascita della persona e, solo successivamente, ci si potrà rivolgere al Comune di residenza per richiedere l’emissione di una nuova carta di identità. Si tratta, quindi, di un iter legale complesso ed estenuante, che deve essere affrontato con grande forza di volontà e coraggio, a oggi con una motivazione in più a causa delle discriminazioni che troppo spesso la verifica del Green Pass pone in essere.
*Studio Legale Bernardini de Pace