Morto Berlusconi, e ora gli odiatori possono pure stappare lo champagne

Per antonomasia, c’è chi la storia la legge e chi la fa. Per gli odiatori di professione, non vi è spazio, né mai vi sarà, sui libri di storia

di Gabriele Di Marzo
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Silvio Berlusconi, 86 anni, già quattro volte presidente del Consiglio, oggi senatore della Repubblica
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Morto Silvio Berlusconi. Ma chi stappa lo champagne non potrà mai fare la storia

Un sipario che cala, senza più rialzarsi. È morto Silvio Berlusconi. È morto e, tutti, siamo un po’ più poveri. Anche i nemici, quelli del livore personale, dell’invidia sociale, dell’odio gratuito. Quelli che hanno detto e scritto di tutto. Anche oggi, anche domani. Quelli dei titoli fuori contesto, delle vignette fuori luogo, della inumanità latente.

Nessuna sorpresa: questo è il loro marchio di fabbrica, è nel loro stile. È l’unico linguaggio che conoscono. L’invidia sociale. La demonizzazione dell’avversario che, prima di ogni cosa, è un nemico da abbattere e distruggere. La morte, solitamente, equipara: richiama rispetto ed esige doveroso silenzio.

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Non per loro. Non per chi contava i giorni. Per chi aveva messo lo champagne in frigo. Nel vero senso della parola. E forse l’ha anche stappato. Senza sapere che, se la morte è un irrinunciabile appuntamento, la vita non è per tutti la stessa.

Per antonomasia, c’è chi la storia la legge e chi la fa. Per gli odiatori di professione, non vi è spazio, né mai vi sarà, nei libri di storia. A loro, queste volta, va il mio dislike. Che non servirà certo a fargli cambiare idea sulla persona. Non è questo il senso, né l’obiettivo.

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La vita è un passaggio, una luce nel buio di un percorso eterno. Odiare costantemente vuol dire spegnere i riflettori della propria anima, ancor prima che si possano spegnere quelli dell’umano corpo. E siamo tutti umani. Un po’ santi, un po’ diavoli. Nessuno con la patente di superiorità morale. Nessuno.