Poesia/ Mary B. Tolusso: “L’umanità è questione di cuore”
In libreria la raccolta in versi "Apolide", per la storica collana Lo Specchio di Mondadori, della poetessa, scrittrice e critica letteraria
L’autrice guarda all'apolidia per le accezioni positive che può contenere in un’epoca di grandi trasformazioni come quella odierna
“Meglio liberarsi con grazia, credimi / nella felicità casuale degli atomi”, scrive Mary Barbara Tolusso nell’ultima raccolta in versi, in questi giorni in libreria per la storica collana Lo Specchio di Mondadori (pag. 120, euro 16). Un verso che ci restituisce la dimensione di una poetica che declina la libertà anche allo stato di apolidia, in una società in cui di apolidi (dentro e fuor di metafora) ce ne sono parecchi. Già attiva sulla scena letteraria italiana, Tolusso è autrice di due romanzi e diverse raccolte poetiche. Apolide è testo organico e compatto, teso a registrare la concretezza del corpo, la materialità a volte sinistra delle cose e dell’umana esperienza. L’abbiamo intervistata per Affaritaliani.
Mary Barbara, chi è oggi l’apolide?
Stiamo assistendo a violenze di ogni tipo che costringono sempre più gli individui a uno stato di apolidia. Tuttavia, io guardo a questa parola per le accezioni positive che può contenere in un'epoca di grandi trasformazioni come l'attuale. Credo sia difficile oggi sentirsi compiutamente risolti in una dimensione fissa, abbarbicata ai valori condivisi da una sola comunità. Tutto è plastico, tutto è in continua interazione. Fondamentalmente apolide per me significa fluido, predisposto a collocarsi in multiformi contesti. Non è più tempo di realtà granitiche, sia ideologiche che fisiche. Anche l’appartenenza di genere non ha più dimora fissa, per fortuna.
Lei si sente apolide?
Per motivi autobiografici non ho mai avuto una residenza fissa, l’unica è diventata Trieste, ma io non sono triestina e tuttavia ho eletto questa città a mia dimora. Credo però Trieste sia molto predisposta a essere scelta dagli apolidi, più che altrove qui l’identità è mobile.
Un verso di una sua poesia recita che la vita non è una questione di cuore. Allora cos’è?
L’umanità è una questione di cuore, la vita un po’ meno. Lei crede che le multinazionali risolvano le questioni affidandosi al cuore? Ma anche in quella quotidianità che ci riguarda tutti – quel “decoro” così ben rappresentato da Giovanni Giudici – credo che il cuore non sia sempre il primo della lista. Siamo umani, tendiamo al cuore, ma siamo complessi, fragili, incoerenti e comodi. La vita chi lo sa cos’è? Per quanto mi riguarda, ritengo che il meglio che si possa fare è scegliere il male minore, anche umanamente intendo, soprattutto aderire, essere prensili, mettersi in ascolto.
Quale linea di ricerca persegue nella parola poetica?
Io non credo che un poeta debba mettersi per forza a tavolino per decidere cosa dire e come dirlo, o meglio, credo che il pensiero che sta dietro ogni poesia, così come la lingua, debbano agire in maniera (anche) sotterranea, altrimenti rischi di dire molto poco, se non addirittura di diventare didascalico. Naturalmente ci sono delle linee preferenziali, e questo lo capisci da piccolo, quando inizi a leggere i poeti. La mia lingua si affida (anche) all’impoetico, alla concretezza, alla quotidianità che deve essere sezionata da diverse prospettive, così da compiere questo smantellamento attraverso un dire materico e visionario. Non senza incursioni nel virtuale, che oramai è la dimensione che ci appartiene di più.
Oltre a diverse raccolte poetiche, lei è anche autrice di romanzi. Come gestisce questi due registri?
Sinceramente non ci penso molto. La poesia certo mi aiuta per le possibilità evocative, in fondo se vuoi scrivere un romanzo serio prendi a prestito molte figure retoriche della poesia; deve però esserci la stessa precisione, accompagnata dall’invenzione di una voce, ma soprattutto devi piegare la lingua alle tue esigenze. Devi evitare insomma di farti piegare come invece capita sempre più spesso, a quelle che sono le esigenze delle case editrici e degli stessi lettori, a loro volta “educati” dalle case e editrici e dai mass media. Bisogna rischiare. Nella narrativa è più difficile perché contano le vendite. Ma proprio per questo, se pensata in maniera seria, la produzione romanzesca può essere un esercizio di stile e di comunicazione ancora più avvincente. D’altra parte io mi sono sempre divertita di più a scrivere romanzi.
Anche in Apolide, come nei suoi romanzi, l’adolescenza pare un suo tema…
Probabilmente qualcosa si è incastrato là, non saprei dirle cosa. Il mio ultimo romanzo, L’esercizio del distacco, narra la storia di tre adolescenti e direi che è in assonanza con alcuni versi di Apolide. Nel senso che io guardo a quella età come al periodo vergine della nostra vita, il periodo in cui tutto ci appariva ingigantito, gli amori come i dolori. Molte persone mi hanno confidato che mai tornerebbero a quegli anni in cui hanno sofferto troppo. Io la penso in un’altra maniera: come tutti, neppure io sono stata risparmiata, ma sinceramente mi spaventavano di più i periodi di noia, indifferenza, i transiti senza infamia né lode insomma. Terribile. Ed è quello che succede spesso con l’età adulta, che invita più alla rassegnazione o al compromesso, al lasciar perdere, alla comodità, sentimentale soprattutto: uno stato privo di qualsiasi illuminazione e prensilità all’esistere.
I suoi maestri?
Ce ne sono tanti: Sereni, Giudici, Raboni, Cucchi, Eliot, Proust fino a Gary e altri ancora, troppi per elencarli tutti. Comunque. sono sempre stata attratta da chi mi parlava senza grandi proclami ideologici, da chi ti fa sentire meno sola insomma.
Ora che ha pubblicato nella storica collana della poesia italiana, qual è la sua prossima meta?
Pagare il mio commercialista, che proprio stamane mi ha allertato per un ritardo.
E a parte questo?
Com’è mia abitudine mi darò alla prosa, letteralmente. Ho sempre alternato un romanzo a una raccolta in versi.
Mary Barbara Tolusso è nata a Pordenone e vive tra Trieste e Milano. Ha pubblicato alcune raccolte di poesia e i romanzi L’Imbalsamatrice (Gaffi, 2010) e L’esercizio del distacco (Bollati Boringhieri, 2018). È presente nell’antologia Velocità della visione. Poeti dopo il Duemila (Fondazione Mondadori, 2017). Ha tradotto Giacomino da Verona per il volume Visioni dell’aldilà prima di Dante (Mondadori, 2017). È appena uscita la raccolta in versi Apolide (Mondadori, 2022). Ha vinto il Premio Pasolini (2014) e il Premio Fogazzaro (2012).