“Come l’arancio amaro”, in testa alle classifiche, è il romanzo perfetto per questo momento storico

Un esordio dopo anni di lavoro negli archivi notarili e il successo inaspettato: ecco perché il romanzo di Milena Palminteri edito da Bompiani ha conquistato tutti e racconta una storia più che mai attuale

di Chiara Giacobelli
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Come l’arancio amaro è il primo romanzo di Milena Palminteri, una voce siciliana che, con sensibilità e intensità, esplora la femminilità e le sue lotte in un mondo patriarcale. Edito da Bompiani, è in testa alle classifiche e l’autrice è in tournée in varie città italiane.

Il 15 novembre Milena Palminteri, che alla scrittura e al successo narrativo è arrivata in età adulta dopo anni di lavoro come conservatrice negli archivi notarili, sarà ospite di Cavallotto Librerie a Catania, dove presenterà Come l’arancio amaro insieme a Barbara Bellomo alle 17.30. Il 9 novembre sarà invece al Festival delle Letterature di Policoro presso la Biblioteca M. Rinaldi alle ore 18 e infine il 20 novembre incontrerà i lettori alle 20.30 nell’ambito della rassegna Pagine in movimento, organizzata dal comune di Malo. Oltre 100.000 copie vendute per un caso letterario che ha conquistato l’Italia intera, grazie alla scrittura elevata e curata – con quel dialetto siciliano che affascina sin dalle prime pagine –, l’intreccio originale della trama, i personaggi così vividi e reali, nonché il tema della ricerca delle proprie origini, adottando per lo più un punto di vista femminile.

Ambientata tra la Sicilia degli anni Venti e Sessanta del Novecento, la storia si snoda attraverso gli eventi tumultuosi del Fascismo, della guerra e della ricostruzione, facendo emergere una saga familiare densa di segreti e rivelazioni. Il racconto ruota attorno a tre donne che, pur divise da estrazioni sociali e condizioni economiche differenti, condividono la stessa tensione verso la libertà: Nardina, la dolce e sottomessa sposa di un nobile, imprigionata in un matrimonio che ne soffoca le ambizioni; Sabedda, fiera e istintiva, figlia della povertà più assoluta, disposta persino a vendere sua figlia per salvarsi; infine Carlotta, risoluta e appassionata, che, cresciuta in un ambiente ostile alle aspirazioni femminili, sceglie di lavorare come archivista, trovando nel passato della sua famiglia un mistero che cambierà per sempre la sua vita. Le loro vicende si intrecciano attraverso un segreto doloroso e condiviso, in una notte drammatica che unirà per sempre i loro destini.

La prosa della Palminteri è estremamente raffinata, colta e curata: colpisce la ricerca che l’autrice fa delle parole, la struttura delle frasi e al contempo quel parlato siciliano che si intreccia a una narrativa alta. Ne esce fuori uno stile davvero molto piacevole e anche esteticamente bello, che è a nostro parere l’elemento più convincente dell’opera, al di là della trama e dei contenuti. Si può ben dire, in questo caso, che la scrittura vince su tutto: le descrizioni degli agrumeti, dei cieli mediterranei e della polvere calda della Sicilia si trasformano in simboli delle emozioni e delle sofferenze delle protagoniste. L’autrice stessa, in un’intervista, ha sottolineato come la sua lingua “ricordi i classici”, creando una “tessitura di immagini che avvolge il lettore” e conferisce al romanzo il ritmo di una ballata antica; a tratti lirica ma sempre attenta al dettaglio, la Palminteri richiama autori come Bufalino e Sciascia, evocando una Sicilia sospesa tra sogno e realtà.

In merito all’ispirazione che ha dato origine a Come l’arancio amaro, edito da Bompiani, l’autrice ha raccontato che l’idea è nata durante il suo lavoro negli archivi notarili, dove le storie del passato chiedevano di essere narrate. Sebbene non si tratti di un romanzo autobiografico, c’è moltissimo della vita e dell’esperienza della Palminteri, che dalla sua professione decennale ha acquisito un diverso modo di vedere le cose e di valorizzare la memoria storica. “Sono stata conservatrice degli atti notarili per tutta la vita e tra le carte ho scoperto vicende dimenticate che risuonano ancora oggi”. Da qui l’intrigante trovata narrativa di Carlotta che, attraverso un antico documento, svela a poco a poco, grazie alla sua caparbietà e alla volontà di far luce sulle sue origini nonostante il testardo silenzio dello zù Peppino, l’intrigo che lega le donne della sua famiglia. Palminteri ha impiegato anni per completare l’opera, spinta lei stessa da una ricerca del “vocabolo più esatto”: un impegno che conferisce al testo una struttura elaborata e un’atmosfera unica.

Centrale la questione del ruolo femminile in un contesto dominato dagli uomini: Come l’arancio amaro offre una riflessione sul potere resiliente del corpo e dell’anima delle donne; un tema che emerge con forza anche dalla complessa figura di Sabedda, capace di resistere pur nel sacrificio più grande. È infatti lei che si trova costretta – una volta violentata dal baronetto – a rinunciare alla figlia, a separarsi da lei nei primi anni di vita, per poi vederla crescere sotto lo stesso tetto senza poterle rivelare la verità e finendo per essere trattata al pari di una serva, per arrivare quindi alla fuga in America, con in testa una promessa che non riuscirà a mantenere. In un’altra intervista rilasciata in questi mesi, l’autrice ha detto: “Sabedda rappresenta un’evoluzione. È avanti, perché cresce fidandosi solo del proprio istinto”. È questo istinto che la porterà, insieme a Nardina e a Carlotta, a tessere un intricato arazzo di scelte e destini che, pur divergendo, sembrano fatalmente convergere.


 

Nata a Palermo e residente a Salerno, Milena Palminteri ha deciso solo in età matura di dar voce alla sua Sicilia attraverso la scrittura, riuscendo a confezionare un romanzo che lascia il lettore con un retrogusto dolce e pungente di emozioni forti, mai dimenticate. Più volte torna nel libro l’immagine del frutto che dà il titolo all’opera, simbolo di resilienza, di qualcosa che sopravvive nonostante le avversità e l’inospitalità del terreno, ma anche elemento ambivalente in cui dolcezza e amarezza si fondono insieme, come d’altra parte accade nella vita. «Carlotta mia, io dell’arancio amaro conosco solo le spine e ormai non mi fanno più male – dice la madre alla figlia per lettera – Ma il profumo del suo fiore bianco è il tuo ed è quello della libertà».

Dal 1960 al 1924, da Agrigento a Sarraca, la Sicilia si rivela ancora una volta terra di grande fascino e ambientazione per una vicenda che affonda le sue radici nella storia del secolo scorso, sebbene sia di fantasia. Ed è proprio la parte più inospitale, provinciale, lontana dell’isola a far emergere prepotentemente la sua voce, laddove il progresso arriva con lentezza, lasciando protrarsi certi usi e costumi più a lungo rispetto alle città; tuttavia, anche qui il Fascismo, con la successiva guerra mondiale, spazza via l’ordine costituito, portando a quel grande sommovimento di idee, valori, ideali, ridistribuzione della ricchezza e dei poteri che caratterizzò l’Italia di quegli anni, ma prima ancora la Sicilia de Il Gattopardo. Quest’aria di nostalgia per un mondo che svanisce e lascia spazio a qualcosa di nuovo, ma non necessariamente migliore, è presente in tutto il romanzo ed è attuale in maniera inquietante, in questo decadere dell’Occidente a fronte di un diverso ordine mondiale, così come nel declino della democrazia verso governi sempre più dittatoriali ed estremisti. Vi furono in passato, e ci sono anche oggi, grandi cambiamenti inevitabili della società che il conservatorismo cerca di frenare, di combattere, di osteggiare, ma prima o dopo non può che esserne travolto, perché talvolta è impossibile fermare le dinamiche sociali, economiche, geopolitiche globali. È allora utile guardare indietro, all’Italia che ci racconta la Palminteri, per confrontarla al presente, nelle reazioni ai mutamenti e nelle riflessioni più profonde, ritrovando punti di contatto ma anche elementi di conquista, specie nell’ambito dei diritti femminili.    

«È il pomeriggio tiepido di una primavera anticipata, in Sicilia le stagioni fanno quel che vogliono. Cursidda riposa, da qualche giorno lamenta “duluri di ossa” e io le impedisco di alzarsi. Mi lascio cadere nella poltrona dello zù Pippino, mi è tanto vivo nella mente che potrei pittarlo preciso anche se non so tenere in mano un pennello. Con lui, oggi, vorrei festeggiare. Mi chiedo se in questo frangente che ho attraversato ancora e ancora mi avrebbe dissuasa, impedita, convinta di dovermi a oltranza proteggere da ogni male della vita precludendomi, così, anche ogni bene».

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