Becchi: “Io e il direttore di Affari sospesi da Twitter per l’ivermectina”

Paolo Becchi e il direttore di affaritaliani.it Angelo Maria Perrino sono stati sospesi da Twitter “per aver condiviso un post che parlava di ivermectina”

Paolo Becchi 
Coronavirus
Condividi su:

“Sospeso anche io, per la stessa ragione del direttore di Affaritaliani.it”: così lancia l’allarme su Twitter Paolo Becchi, denunciando una censura da parte della piattaforma social che ha colpito lui e il direttore di Affari Angelo Maria Perrino. L’abbiamo intervistato per capirne di più e farci spiegare meglio che cosa è successo.

“Il tutto è nato il 5 agosto, quando ho pubblicato su Affaritaliani.it un pezzo scritto a quattro mani da me e Giovanni Zibordi dal titolo “Israele, studi dimostrano che l'Ivermectina cura il Covid: in Italia è tabù” (leggilo qui). Il giornale ha poi condiviso su Twitter l’articolo e il direttore, Angelo Maria Perrino, l’ha condiviso per poi chiamarmi poco dopo e avvisarmi di essere stato “temporaneamente sospeso” dal social senza saperne il motivo. Subito mi viene il sospetto che il mio articolo c’entrasse qualcosa, così condivido a mia volta sul mio profilo il tweet di Affaritaliani.it con l’articolo incriminato. Poco dopo anche a me arriva l’avviso di Twitter: se non avessi rimosso il post, il mio account sarebbe stato sospeso.”

E lo ha rimosso?

Certo che no. Infatti sono stato sospeso. Temporaneamente, per meno di una giornata forse, ma intanto è successo. C'era la possibilità di fare ricorso ma pur seguendo tutte le procedure non ci sono riuscito.

E Twitter come ha motivato questa decisione?

Non l’ha motivata.

Insomma, non è scritto da nessuna parte che la causa dietro la sospensione del suo profilo Twitter e di quello del direttore Perrino sia l’uso della parola ivermectina.

No, ovviamente non è stato scritto da nessuna parte, Twitter non dà spiegazioni, ma io sono convinto che sia così. Ho fatto alcune prove e poi è la prima volta che mi succede. Una volta avevo pubblicato un tweet ironico nei confronti di Matteo Renzi per cui il leader di Italia Viva mi ha chiesto un risarcimento per danni di immagine, 100mila euro che io poi non gli ho dato, e neanche in quel caso, cioè con un procedimento in atto, Twitter era intervenuto per rimuovere il post. È passato del tempo ma se lo cercassi lo troverei ancora lì. Stavolta invece è bastato nominare l’ivermectina per scatenare la censura.

Per altro condividendo un articolo in cui si parla del tabù italiano nei confronti di questo farmaco.

Paradosso. O forse no, appunto. L’articolo, per altro, riportava solo la traduzione di un pezzo uscito sulla stampa israeliana, con una riflessione sul dibattito pubblico che se ne fa e la differenza con l’Italia. E nella didascalia del post rimosso da Twitter non veniva espresso nessun giudizio, né positivo né negativo, sull’ivermectina.

Quindi lei come si spiega quanto è successo?

L’unica spiegazione che mi sono dato è che ci sia un accordo tra case farmaceutiche e Twitter per cui se qualcuno usa determinate parole “scomode” viene censurato. Ma non mi sorprende. Ho già notato altre forme di intervento da parte del social. Per esempio quando raggiungo un certo numero di follower, Twitter me ne toglie un po’: all’improvviso vengono come cancellati 2 o 3mila persone che mi seguono. Oppure ancora, ho notato che quando pubblico un video, se questo resta sotto le 100mila visualizzazioni non succede niente e io sono libero di dire quello che voglio, ma se invece supera le 100mila visualizzazioni subito intervengono istituti di ricerca e debunker che vogliono a tutti i costi screditare quello che dico e smentirne i contenuti. Come ho postato proprio su Twitter di recente, ormai da due anni siamo sotto controllo dello “stato di necessità”.