Covid, lo scienziato che lo predisse a dicembre 2019 fu tacciato di allarmismo

Alessandro Vespignani come Cassandra: “Probabilità che la trasmissione del Covid in Italia sia iniziata a metà dicembre e non per importazione”

di Mirko Crocoli
Coronavirus
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Apparivano lontane anni luce le immagini dell’ospedale di Wuhan tirato su in soli 10 giorni e consegnato il 2 febbraio 2020. Nelle case degli italiani si guardava al virus SARS-Cov-2 con distacco, indifferenza, quasi noncuranza, d’altronde era in una sconfinata parte del mondo, mai e poi mai (molti, poco profeticamente sentenziavano) ci avrebbe in alcun modo lambito.

Come spesso accade è la classica vocina da bar che si insinua:“a noi non può succedere!”. Simultaneamente giunse anche la notizia della prima coppia cinese infetta ricoverata all’Istituto (INMI) “Lazzaro Spallanzani” IRCCS di Roma; era il 29 gennaio. 

“Nulla di trascendentale – qualche altro genio della lampada sussurrò - semplice malessere stagionale!” Ma di lì a poco si comprese subito che gli scettici (coloro che alla bisogna, sempre stazionati nel solito ritrovo bocciofilo, sanno essere magicamente coach di calcio in quota seria A, skipper professionisti o in periodi olimpionico finanche esperti tuffatori) si sbagliavano, e di grosso. 

Arriva Codogno, sei casi in Lombardia, e una manciata di settimane dopo la tempesta perfetta, che sia stata da laboratorio o da pipistrello poco conta, colpì tutti i continenti emersi, nessuno escluso! Il resto, come sappiamo, è storia dei giorni nostri. E in questo farsesco bailamme, ove anche la politica si è trovata spiazzata e nettamente divisa tra allarmisti e riduzionisti, ci fu tuttavia un uomo che, alla metà di dicembre 2019, già aveva capito tutto, o quasi. 

E’ il Prof. Alessandro Vespignani, laureato con dottorato di ricerca all’Università di Studi di Roma “La Sapienza”, docente di Fisica, Informatica e Scienze della Salute presso la Northeastern University di Boston e direttore e fondatore del Laboratory for the modeling of Biological and Socio-techincal System nella medesima capitale del Massachusetts. 

Ha completato le sue ricerche post-dottorato alle Università di Yale e di Leida, lavorato al Centro internazionale di fisica teorica (UNESCO) a Trieste e all’Ateneo di Parigi Sud in Francia come membro del Consiglio nazionale per la ricerca scientifica (CNRS). Dal 2004 al 2011, è stato J.H. Rudy Professore di Informatica all’Università dell’Indiana e direttore-fondatore del Center for Complex Networks and Systems Research nonché direttore associato del Pervasive Istituto di tecnologia. 

È eletto membro dell’American Physical Society, membro dell’Accademia d’Europa, e membro dell’Institute for Quantitative Social Sciences dell’Università di Harvard. Recentemente la sua attività di ricerca si è concentrata sulla modellizzazione computazionale basata sui dati di fenomeni epidemici e di diffusione e sullo studio dei fattori biologici, reti sociali e tecnologiche.

Una di quelle menti che ha predetto la diffusione di Zika, Ebola e Sars, costantemente impegnato a cercare di anticipare fenomeni epocali per scongiurarne gli esiti nefasti e che Washington non poteva non richiederlo nella task force anti-Covid della White House, e così, infatti, è stato. 

La recente ricerca pubblicata sulla rivista “Nature”, proprio dal suo gruppo di lavoro, sancisce la presenza in Italia di un nuovo strano “ceppo” dai primi giorni di gennaio 2020, per poi ritrovarlo, stesso mese, in diverse aree d’Europa e degli Stati Uniti, in California e qualche settimana più tardi nella East Coast. 

Una ricostruzione complessa, basata sull’analisi di molti schemi e scenari, con algoritmi che individuano i più plausibili. Matteo Chinazzi, uno degli autori che del team Vespignani fa parte, all’Ansa ammette: «Non abbiamo simulato una sola epidemia, ma tantissime possibilità, centinaia di migliaia di possibili evoluzioni, e da questa base abbiamo calcolato la probabilità del periodo in cui in Italia possa essere avvenuta la trasmissione dei casi in modo autonomo, e non più da importazione». 

Modelli che – tra l’altro - hanno permesso di sviluppare l’evoluzione della pandemia su scala globale. Si è giunti dunque ad un risultato che mostra come tra il 6 e il 30 gennaio non solo il virus era presente ma anche quanto esso abbia avuto gioco facile a livello di contagio, Belpaese in primis. E poi arriva una ulteriore preoccupante conferma: «c'è una probabilità molto bassa, ma non nulla che la trasmissione possa essere iniziata a fine dicembre 2019». 

Il mancato monitoraggio e l’approccio non corretto con l’individuazione dei soggetti a rischio (test solo per gli sbarchi dalla Cina) ha fatto sciaguratamente il resto. Tant’è che – chiosano gli esperti - «se i criteri iniziali fossero stati più ampi sarebbe stato possibile identificare focolai locali e controllare meglio l’epidemia». 
Ma a suffragare la tesi della circolazione in tempi non sospetti (come si ricordava poc’anzi) fu principalmente lo stesso Alessandro Vespignani ben tre mesi prima che dalle nostre parti si praticasse il lockdown, datato 10 marzo. In sostanza e riassumendo - come rammemora la sorella Veronica Gentili (conduttrice in forza a Mediaset) nel suo libro “Gli Immutabili” - era la metà di dicembre (’19), egli, di passaggio in Italia per qualche giorno, annunciava la comparsa di un virus che rischiava d’invadere il mondo. 
C’è chi lo considerava una sorta di Cassandra, ma sia lui che la sua equipe non si sbagliavano. Il luminare di Boston sosteneva che il nuovo virus comparso in Cina, di cui avevamo letto in qualche trafiletto tra le notizie estere, rischiava di espandersi a breve anche in Europa e che, essendo estremamente contagioso, avrebbe potuto mettere sotto pressione le nostre società. Rivelazione poi divenuta tragica realtà. 

Pochi “passi” più avanti, in un’intervista a TPI nel pieno del blocco totale, sempre previdentemente ammoniva: «per la  fase 2 bisogna testare, tracciare e trattare (le tre T). Da qui non si scappa. Noi siamo quelli che fanno le previsioni del tempo, ma non abbiamo la foto di un vortice da mostrare al mondo. Per fortuna, al contrario dei metereologi, dopo aver individuato l’uragano, possiamo attenuarne l’impatto».      

Che dire, con il senno di poi e riavvolgendo il nastro, a distanza di quasi 24 mesi dalle prime news provenienti dall’Asia, forse oggi le parole di questi scienziati hanno sia un senso che un peso ragionevolmente diverso rispetto all’apatia generale e diffusa degli embrionali (mal compresi e sottovalutati) segnali d’allarme, con buona pace dei giacobini di turno.