Alessia Pifferi, tutto sul processo alla donna condannata all'ergastolo per la morte della figlia
La cronaca, il processo, le polemiche sul caso della donna che ha lasciato morire a casa sola di stenti ed abbandono la figlia di un anno
Il caso di Alessia Pifferi è uno di quelli rimasti impressi in maniera indelebile nella mente di moltissimi italiani, impietriti davanti al gesto di una donna, anzi, di una mamma, che abbandona a casa la figlia di un anno per giorni e giorni per godersi il weekend con il nuovo compagno ma condannando ad una morte terribile la neonata.
I fatti
Alessia Pifferi vive a Milano, in un appartamento in Zona Parco Lambro. Una vita tra mille difficoltà, soprattutto mentali e personali. Il 29 gennaio 2021 partorisce una bambina, Diana, spiegando però ai medici di "non sapere di essere incinta". La piccola nacque prematura e rimase per questo ricoverata in ospedale per più di un mese. "Non so chi sia il padre" disse Alessia ai medici durante il ricovero post parto.
Un anno e mezzo dopo la tragedia. Il 14 luglio, un giovedì, Alessia Pifferi esce di casa per recarsi a Leffe, cittadina della provincia di Bergamo dove vive il suo compagno di allora. Lascia a casa la bambina di 18 mesi, sola, con accanto due biberon di latte, due bottigliette d'acqua ed una di the. Non avvisa nessuno ed al compagno dice di aver lasciato la piccola alla sorella al mare. L'ennesima bugia.
Quando torna a casa, il 20 luglio, sei giorni dopo, trova la bambina ormai morta. Disperata prova a praticarle il massaggio cardiaco, poi la porta in bagno cercando di risvegliarla con una sorta di bagnetto ai piedini ed alla testa. Non avendo alcuna reazione dalla piccola allora ha cominciato a chiedere aiuti ai vicini che, capita la situazione, hanno chiamato il 118. L'ambulanza ed i medici hanno solo potuto constatare l'avvenuto decesso, per "disidratazione".
Il processo
Alessia Pifferi viene fermata il giorno stesso della morte della piccola Diana. Nel corso del primo interrogatorio rilascia altre socncertanti dichiarazioni. "Avevo già lasciato a casa la bambina per tutto il weekend, dal venerdì al lunedì. L’ho lasciata sola pochissime volte, non ricordo quante. Ero preoccupata di lasciarla sola così le lasciavo due biberon di latte, due bottigliette d’acqua. Avevo paura di molte cose, anche se riuscisse a bere l’acqua, ma la lasciavo da sola perché pensavo che il latte bastasse».
L'autopsia sul corpo della bambina ha escluso che le siano stati somministrati medicinali o sostanze tossiche.
Alessia Pifferi viene accusata di "omicidio volontario pluriaggravato", con le aggravanti dei "futili ed abbietti motivi", del "rapporto familiare con la vittima" e la "premeditazione". Reati che prevedono la pena dell'ergastolo.
La difesa, fin dalla fase preliminare, punta sull'incapacità di intendere e volere della Pifferi e che quindi non può essere processata e per questo si richiedeva una consulenza neuroscientifica. Richiesta respinta per due volte consecutive ma alla terza, presentata dal nuovo legale della donna, l'avvocato Alessia Pontenani, viene autorizzata. Una consulenza fatta con l'aiuto di due psicologhe del carcere milanese di San Vittore.
Le due psicologhe avevano riconosciuto nell’imputata una «scarsa comprensione delle relazioni di causa ed effetto e delle conseguenze delle proprie azioni». Alessia Pifferi quindi avrebbe un quoziente intellettivo molto basso, che non le permette di riconoscere la sofferenza né di valutare consapevolmente le conseguenze delle proprie azioni.
Sensazioni, posizioni che hanno creato uno scontro violento con la Procura.
Il pm Francesco De Tommasi si è opposto alla richiesta della perizia, arrivando ad accusare le due psicologhe di aver manipolato Alessia Pifferi. «A San Vittore è successo un fatto gravissimo: la rivisitazione dei fatti dal punto di vista del personale della struttura carceraria. L’effetto è stato quello di metterle in testa di non avere alcun tipo di responsabilità», ha detto il magistrato.
La Corte d’Assise di Milano ha comunque richiesto una sua perizia psichiatrica, che è stata firmata da Elvezio Pirfo secondo cui il quadro psichiatrico della Pifferi «non è tale da far scemare in maniera significativa la capacità di intendere e volere né da minarne la capacità di stare consapevolmente in giudizio»: Alessia Pifferi sarebbe quindi capace di intendere e volere.
Il processo si è chiuso con la sentenza di primo grado emessa il 13 maggio 2024 e con cui Alessia Pifferi è stata condannata all'ergastolo, con le seguenti motivazioni:
“deve attribuirsi alla Pifferi, con ragionevole certezza, la concreta previsione dell’evento morte della figlia, benché accadimento non intenzionalmente e direttamente voluto, proprio sulla base dell’analisi della sua condotta e delle sue stesse dichiarazioni, dalle quali si evince la ravvisabilità di tutti gli elementi sintomatici del dolo eventuale richiamati dalla Corte di legittimità“.
Il processo d'appello
La prima udienza del processo d'Appello era prevista per il 28 gennaio ma è stata rinviata perché Alessia Pifferi era malata. I giudici hanno così deciso il rinvio al 10 febbraio prossimo. I giudici hanno chiesto ai periti una nuova perizia psichiatrica sulla donna. Il caso è riaperto.
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