Armani, dai dormitori insalubri alle paghe di 3 euro l'ora: su Affari le carte

La Giorgio Armani Operations in amministrazione giudiziaria: "Agevola il caporalato degli sfruttatori cinesi". Il video

di Eleonora Perego
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Sfruttamento di operai cinesi
Cronache

Armani Operations nella bufera per sfruttamento del lavoro: dai dormitori insalubri alle paghe di 3 euro l'ora. Su Affari le carte dell'inchiesta: FOTO E VIDEO 

Accessori di lusso, sì, ma a che prezzo? A questa domanda hanno cercato di rispondere i pm Luisa Baima Bollone e Paolo Storari e i giudici della Sezione Autonoma delle Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano. Nel decreto che ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la “Giorgio Armani Operations spa”, si rimprovera alla società controllata interamente dalla “Giorgio Armani spa”, “inerzia o cattiva organizzazione interna”, che ha agevolato l’attività di persone indagate per un catalogo di reati tra i quali (in questo caso) l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, cioè il reato di caporalato contestato invece ai titolari degli opifici cinesi chiusi dai carabinieri dopo le ispezioni in questi capannoni in provincia di Milano.

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Se è vero che le società che fanno capo allo stilista 89enne non sono indagate, è anche vero che la misura di prevenzione del parziale “commissariamento” è stata adottata a fronte di una “cultura di impresa gravemente deficitaria sotto il profilo del controllo, anche minimo, della filiera produttiva della quale la società si avvale; cultura radicata all’interno della struttura della persona giuridica, che ha di fatto favorito la perpetuazione degli illeciti”. I giudici, insomma, hanno svelato una “prassi illecita così radicata e collaudata da poter essere considerata inserita in una più ampia politica d’impresa diretta all’aumento del business”, anche a costo di instaurare stabili rapporti con soggetti dediti allo sfruttamento dei lavoratori.

Sfruttamento che, tradotto, vuol dire pessime condizioni sul luogo di lavoro, oltre che inosservanza delle norme previste per la sicurezza degli operai, impiegati “in nero” o “clandestini”.

Dalle carte che Affaritaliani.it ha potuto esaminare, emerge un racconto raccapricciante, in particolare dal resoconto dei sopralluoghi dei carabinieri nei primi mesi del 2024 nei capannoni a Pieve Emanuele o a Rozzano. Lavoratori, cinesi e pakistani, collocati in veri e propri dormitori ricavati all'interno degli stessi luoghi di lavoro abusivi e insalubri, con impianti elettrici di fortuna e a rischio di incendi da corto circuito, con servizi igienici e cucina inadeguati, con alimenti riposti accanto alle sostanze chimiche e infiammabili usate per le lavorazioni, con il rischio di incendi e di inalazione tossica. Si parla addirittura di soppalchi sorretti da scale di ferro malmesse, camere da letto ricavate in violazione delle norme edilizie, sporchi e carichi di rifiuti.


 



 

Ma non solo, perchè scandaloso appare anche il trattamento economico: nei verbali emerge come i lavoratori abbiano dichiarato di percepire dai 3 ai 4 euro l’ora, se non addirittura di essere pagati a cottimo (con cifre dagli 0,50 centesimi all’euro a pezzo). Per non parlare della durata dei turni, ampiamente superiore a quella ufficialmente prevista: molti operati hanno dichiarano di essere pagati per 4 ore al giorno ufficiali ma di lavorarne 10, e in effetti lo conferma sia il “registro nero”, cioè un quaderno sequestrato in uno degli opifici con i numeri reali di ore lavorate, sia il calcolo dei consumi energetici che dimostra o che a lavorare tutto il giorno e pure di sera e nei festivi erano molti più lavoratori di quelli indicati, o che quelli che c’erano lavoravano a ritmi massacranti molte più ore di quelle ufficiali.

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Una brutta pagina per la moda (e l'industria) italiana: dopo il commissariamento di "Alviero Martini spa", infatti, anche l'impero di Giorgio Armani parrebbe svelare, da almeno sette anni, un duplice livello di impresa: alla luce del sole lo sfarzo della "Giorgio Armani Operations spa", che stipula ufficialmente contratti con società dal comprovato codice etico, e dall’esplicito divieto di subappaltare la produzione. Nell'ombra, invece, l'esternalizzazione a opifici cinesi che sfruttano sotto molteplici profili la manodopera spesso irregolare sul territorio italiano "in condizioni di difficile emancipazione sociale, e dunque in sostanza costretta o quantomeno fortemente condizionata ad accettare condizioni di lavoro particolarmente svantaggiose che si traducono in un vero e proprio sfruttamento".