Becciu, il palazzo a Londra e il peculato "senza scopo di lucro": le motivazioni della sentenza di condanna al cardinale

"Una operazione estremamente rischiosa e incompatibile con l'atteggiamento sempre doverosamente prudente tenuto dall'investitore"

di Redazione
Cronache

Becciu, il palazzo a Londra e il peculato "senza scopo di lucro": le motivazioni della sentenza di condanna al cardinale

"Una operazione estremamente rischiosa e incompatibile con l'atteggiamento sempre doverosamente prudente tenuto dall'investitore": così il Tribunale vaticano descrive la compravendita del palazzo di Londra nelle motivazioni della sentenza con la quale nel dicembre 2023 aveva condannato, per reati diversi, il cardinale Giovanni Angelo Becciu, Raffaele Mincione, Enrico Crasso, Gianluigi Torzi, Nicola Squillace, Fabrizio Tirabassi e Cecilia Marogna. La corte, presieduta da Giuseppe Pignatone, in un documento lungo oltre 800 pagine, spiega le motivazioni di quelle condanne e confuta alcune tesi della difesa.

A partire dal fatto che l'ordinamento vaticano violi la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Nella sentenza si sottolinea che invece "non viene messo in discussione il fatto che l'ordinamento vaticano riconosce il principio del giusto processo". Ma soprattutto mette i paletti al reato di peculato che per l'ordinamento vaticano è l' "uso illecito" del denaro, a prescindere dal fatto se ci sia stato lucro o meno. Una sottolineatura che fa riferimento soprattutto alla difesa portata avanti da Becciu.

"La responsabilità di quest'ultimo non può essere messa in discussione neppure in ragione di un ulteriore argomento che egli ha invece inteso valorizzare in più circostanze: la rivendicata assenza di utilità". Un fatto che "può forse avere una sua rilevanza in una dimensione metaprocessuale" ma "sotto il profilo squisitamente giuridico (che è l'unico scrutinabile in questa sede) perde del tutto significato" perché "la finalità di lucro è del tutto estranea alla fattispecie di peculato prevista dall'ordinamento vaticano".

Per quanto riguarda invece i fondi alla Spes, la cooperativa della diocesi di Ozieri, non conta l'obiettivo della beneficenza o il fatto che quei soldi non siano stati realmente spesi perché "il tema centrale resta uno ed uno soltanto: la illiceità della donazione, in guanto effettuata a favore di propri congiunti". Il capitolo Cecilia Marogna, l'esperta di geopolitica che ricevette oltre mezzo milione di euro per liberare una suora rapita in Mali, che poi spese invece in beni voluttuari. "Pur a fronte della piena consapevolezza circa la assoluta gravità dei fatti", il cardinale Becciu "non ha preso le distanze dalla Marogna neanche nelle dichiarazioni rese da imputato, nelle quali ha continuato a sostenere la professionalità e affidabilità della donna senza mai affrontare il tema del denaro da lei speso".

Lo scambio di lettere tra il Papa e Becciu rivela poi, secondo il tribunale ne rivela "la distanza". "Non merita poi alcun commento - si legge ancora nella motivazione - l'incredibile decisione dell'imputato di preordinare ed eseguire la registrazione di una conversazione privata con il Santo Padre". Un documento complesso che ricostruisce i fatti dal 2012-2013, e non solo dal 2018, mettendo in fila la catena dei reati perpetrati da persone che, a titolo diverso, si sono approfittate di soldi della Santa Sede.

"Leggeremo con attenzione la sentenza che rispettiamo così come rispettiamo tutte le sentenze. La motivazione che attendevamo da tempo è piuttosto lunga e sarà oggetto di studio e di approfondimento. Certamente, per le conclusioni a cui approda, contrasta con quanto emerso nel corso del processo che ha dimostrato l'assoluta innocenza del cardinale Becciu", commentano gli avvocati del cardinale, Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo, che hanno già proposto appello e che ora lo motiveranno alla luce della sentenza del Tribunale. 

 

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