Cantone disobbedisce alla legge bavaglio: "Non negherò mai gli atti pubblici"
Il procuratore di Perugia: "Se i pm non daranno più le carte ai giornalisti si creerà un mercato parallelo, senza garanzia per gli indagati"
Legge bavaglio, Cantone: "Con questa norma si torna indietro, stessi errori del passato"
Raffaele Cantone boccia senza appello la legge bavaglio voluta dal governo Meloni e mette in allarme sulle possibili conseguenze, annunciando che non obbedirà a questa norma. "Io non negherò gli atti pubblici. Se qualcuno inizierà a non dare le carte ai giornalisti, si creerà un mercato parallelo senza garanzia per gli indagati. Altro che presunzione di innocenza". Il procuratore di Perugia, - si legge su Il Fatto Quotidiano - fu tra i primi magistrati – forse il primo – a sollevare il tema della trasparenza delle fonti nella comunicazione giudiziaria fino a teorizzare la creazione di uffici stampa nei tribunali. "Scrissi un articolo nel 2013 in cui riferivo questa ipocrisia: i giornalisti potevano scrivere notizie relative ad atti processuali pubblici, ma non potevano avere accesso a quegli atti. I giornalisti dunque sapevano ma non si capiva come. Dando per scontato che le carte arrivassero loro sottobanco in maniera più o meno legittima. Chiesi di aprire un dibattito e di qui la proposta".
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"Va detto con chiarezza - prosegue Cantone a Il Fatto - che stiamo parlando di una legge che non c’è ancora. Se è quella di prevedere il divieto di pubblicazione integrale, ma delle ordinanze si può scrivere, come già prima della riforma Orlando, non ho dubbi che sarà possibile continuare a rilasciarle, sia pure con le dovute cautele, come quelle a tutela delle parti offese. Ad esempio non rilascerei mai una ordinanza su un caso di violenza sessuale. Non è né utile né opportuna. Nessuna emergenza la giustifica in questo momento storico. Meglio che quegli atti vengano dati ai giornalisti, perché non devono ringraziare nessuno e sono poi liberi di dare torto anche a chi glieli rilascia, criticando nel merito. Una garanzia pure per gli indagati di cui scrive. Ritornare al mercato parallelo rappresenterebbe un arretramento culturale".