Caso Amara, Davigo: "Ermini mente. E Milano non era competente". I verbali

Le verità dell'ex consigliere del Csm sulla vicenda Amara e loggia Ungheria

Cronache
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Davigo: "Ermini mente. E per me Milano non era competente sulle indagini"

"Ermini mente". Piercamillo Davigo, ex consigliere del Csm ed ex pm, è indagato a Brescia per rivelazione di segreto in merito alla vicenda dei verbali di Piero Amara consegnati dal pm di Milano, Paolo Storari (anche questi indagato). Ora Davigo dà la sua versione dei fatti, che viene raccontata da Il Fatto Quotidiano che riporta i contenuti salienti di 62 pagine di verbali con gli interrogatori.

Ecco che cosa dice Davigo sui verbali, come riporta il Fatto: “Non è vero quello che dice Ermini (...). I verbali dovevano venire in un secondo momento, però siccome continuava a chiedermi i nomi e io non li ricordavo (...) a un certo punto gli ho detto: ‘Senti, se vuoi ti do questi file stampati’ ”. Ermini aveva dichiarato ai magistrati di Brescia che, ritenendo di non poterli acquisire in quel modo, li aveva buttati nel cestino. E Davigo commenta: “A parte che mi sembra stravagante (...) se devi farli sparire le metti nel tritacarta (...) nel momento in cui Ermini distrugge la prova del mio reato lo dovete incriminare per favoreggiamento”.

Un altro passaggio importante, sottolinea Il Fatto, è quando "Davigo fa una riflessione: Milano non era competente a indagare poiché Piero Amara (ex legale esterno Eni) aveva fatto i nomi di due magistrati della Procura meneghina. E, a causa dell’elevato numero di magistrati menzionati (e soprattutto non menzionati, perché Amara sospetta che potrebbero essercene altri che non conosce), era molto difficile individuare la Procura competente". Ecco la sua riflessione dell’epoca: “Qui c’è il rischio... che non troviamo nessun distretto possibile, perché poi se ce n’è uno (magistrato menzionato da Amara, ndr) in ogni distretto come si farà con l’articolo 11?’ ”. Poiché nell’elenco di Amara non compaiono magistrati di Brescia “se avessi dovuto decidere io (...) l’avrei mandato immediatamente a Brescia”, conclude il Fatto.

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