Caso Siri, la Consulta: "Il Senato non poteva negare l'uso intercettazioni"
La richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma necessita ora di una nuova valutazione
Caso Siri, la Consulta: "Il Senato non poteva negare l'uso delle intercettazioni". L'ex sottosegretario indagato per corruzione
Il Senato non poteva negare l'uso delle intercettazioni nel caso Siri. E' quanto emerge dalla sentenza della Consulta che ha annullato la deliberazione del 9 marzo 2022 con cui Palazzo Madama ha negato l’autorizzazione richiesta dal Tribunale di Roma all’utilizzo delle intercettazioni riguardanti Armando Siri, senatore all’epoca dei fatti, "perché adottata in contrasto con l’art. 68, terzo comma, della Costituzione", stabilendo al contempo che, "limitatamente a tali captazioni, la richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma necessiti ora di una nuova valutazione da parte del Senato".
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All’origine del conflitto, deciso con la sentenza n. 117 del 2024, ricostruisce la Corte Costituzionale in una nota, vi era la richiesta del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma di utilizzare in giudizio otto intercettazioni, captate sull’utenza di un soggetto non parlamentare, che hanno coinvolto l’allora senatore Siri. Tali intercettazioni sono state effettuate, nell’ambito delle indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Palermo a carico di alcuni imprenditori attivi nel settore delle energie rinnovabili, in un momento antecedente all’emersione di indizi di reità a carico del medesimo senatore, per un’ipotesi di corruzione. Il Senato, in particolare, aveva ritenuto: che, per le prime due captazioni (effettuate il 15 maggio 2018), non sussistesse il requisito della “necessità probatoria” richiesta, per l’autorizzazione successiva all’utilizzo delle intercettazioni, dall’art. 6 della legge n. 120 del 2004; che le restanti sei (effettuate tra il 17 maggio e il 6 agosto 2018) dovessero essere qualificate come “indirette”, perché l’autorità inquirente, potendo prevedere - dopo i primi contatti - le future interlocuzioni tra il senatore Siri e l’imputato principale, avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione preventiva prevista dall’art. 4 della medesima legge.
Nell’accogliere il ricorso, la Corte costituzionale ha stabilito, innanzi tutto, che il diniego del Senato in merito alla sussistenza della necessità probatoria in relazione alle intercettazioni captate il 15 maggio 2018 "ha menomato le attribuzioni del Giudice ricorrente, in quanto ha preteso di valutare autonomamente le condotte ascritte al parlamentare, anziché operare un vaglio, nei termini richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, sulle motivazioni addotte a sostegno della richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle intercettazioni".
Quanto, poi, alla prevedibilità delle interlocuzioni tra il senatore Siri e l’imputato principale successive al 15 maggio 2018, la Corte costituzionale ha ritenuto che l’ingresso del parlamentare nell’area di ascolto delle autorità inquirenti fosse, in questo caso, del tutto occasionale, non sussistendo "alcuno degli elementi sintomatici che inducono a ritenere che il reale obiettivo delle autorità preposte alle indagini fosse quello di accedere indirettamente alle comunicazioni" in questione; ciò tanto più, ha precisato la Corte, ove si consideri che il mutamento della direzione degli atti di indagine si sarebbe avuto solo in un momento successivo a quello in cui le intercettazioni – di cui è stata richiesta l’utilizzazione in giudizio – sono state effettuate, vale a dire al momento dell’iscrizione del senatore Siri nel registro degli indagati (avvenuta nel settembre 2018).
Di conseguenza, la Corte ha ritenuto sussistente la menomazione delle attribuzioni del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma, in relazione al non corretto esercizio, da parte del Senato della Repubblica, del potere a questi assegnato dall’art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, in relazione alla qualificazione delle intercettazioni successive al 15 maggio come aventi natura indiretta. La Corte ha, tuttavia, stabilito che, limitatamente a tali captazioni, la richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Roma necessiti ora di una nuova valutazione, da parte del Senato della Repubblica, in ordine alla "sussistenza dei presupposti ai quali l’utilizzazione delle intercettazioni effettuate in un diverso procedimento è condizionata, ai sensi dell’art. 6, comma 2, della medesima legge".