Covid e dispersione scolastica: quando sono le scuole ad allontanare i ragazzi

La storia di un ragazzo milanese che non riesce a cambiare scuola dopo un primo anno al Liceo Classico, reso decisamente complicato da pandemia e Dad

di Elisa Scrofani
Cronache
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La dispersione scolastica in Italia è un problema irrisolto e di lungo corso, che in un anno e mezzo di pandemia è cresciuto sensibilmente. Un numero di ragazzi sempre maggiore ha deciso di mollare gli studi. Non ci sono dati ufficiali nazionali, ma un’indagine Ipsos per conto di Save the children ha evidenziato che nel 28% delle classi superiori, ogni studente aveva avvistato l’addio di almeno un compagno. Si parla di oltre 34.000 ragazzi in fuga.

La didattica a distanza ha esasperato lacune e insicurezze nella preparazione, spingendo gli studenti ad arrendersi, soprattutto ai prodromi della maturità. Numerosi docenti tirando le somme sull’incidenza della pandemia nel percorso scolastico degli alunni hanno posto in evidenza le conseguenze dell'orientamento a “promuovere tutti nel 2020” e il ricorso, “in alcuni casi anche in accordo con le famiglie”, alla bocciatura, convenendo di concerto con i genitori la necessità di ripetere l’anno.

Ma se questa è una fetta consistente del problema scolastico italiano non è l’unica. In alcuni casi è la scuola a girare le spalle ai ragazzi. In particolare se questi hanno compiuto la scelta sbagliata al momento di orientarsi alle scuole superiori.

Se ci si vuole trasferire e cambiare istituto il sistema scolastico abbandona a sé stessi, in barba al contrasto della dispersione e dell’abbandono degli studi più volte decantato, invece, tra gli obiettivi primari.

La motivazione è che il Covid ha ridotto gli spazi fisici e quindi non si accettano trasferimenti. E’ proprio il genitore di un ragazzo che si trova in questa situazione a raccontarci la sua sconfortante esperienza. “Nostro figlio – ci spiega - in possesso di una ampia e dettagliata certificazione DSA per disprassia (con conseguente disgrafia e disordine emozionale iperansioso), ha frequentato il primo anno di un Liceo Classico a Milano. Abbiamo ritenuto, congiuntamente a lui e al valido corpo docente della Secondaria di Primo Grado che la scuola in questione fosse la scelta ideale, data la sua predisposizione alle materie umanistiche e il quoziente intellettivo (anche questo rilevato dalla certificazione) superiore alla media. Non ci siamo mai nascosti le difficoltà, ma purtroppo queste, dato l'evento pandemico che ci ha colpito, sono state acuite dalla Dad".

Quindi, racconta, “abbiamo più e più volte interloquito con il coordinatore di classe, coinvolgendo anche nostro figlio, ed abbiamo infine usufruito del valido aiuto della preside. La situazione finale è che nostro figlio ha il giudizio sospeso, con tre debiti che, a detta di tutti, dovrebbe riuscire a superare con il dovuto impegno. Ma il consiglio di tutti, maturato dopo ampie riflessioni e confronti, è quello di, una volta saldati i debiti, iscriversi alla classe seconda del liceo delle Scienze Umane e questo è ciò che, nell'interesse supremo del minore, che peraltro si mostra assai d'accordo, intenderemmo fare”. Ma la risposta da parte dei due licei contattati è stata un “esplicito diniego”. 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il genitore, assieme alla delusione per la trascuratezza da parte dell’istituzione, denuncia anche la altrettanto scoraggiante latitanza con cui l’Ufficio regionale scolastico ha dapprima fornito un pallido riscontro alle sua richiesta d’aiuto per poi invitare la famiglia e il ragazzo a rivolgersi alle parificate.

Ma lo scopo della scuola pubblica non dovrebbe essere quello di garantire a tutti il diritto ad un’adeguata formazione? E chi ha più bisogno, sia esso un DSA o un adolescente che ha semplicemente sbagliato corso di studi, non dovrebbe avere più sostegno degli altri?

Certo, il Covid-19 ha complicato enormemente la situazione, ma non si può accettare che il diritto allo studio sia una questione meramente teorica. Si tratta di un “pantano” che interessa anche tutti i bocciati al primo anno di superiori, non messi quindi nelle condizioni di cambiare scuola o scegliere un indirizzo di studi più confacente.