Cronisti in commissariato, "Ero sorvegliata. Mi hanno impedito di lavorare"

Il gruppo di cronisti portato in commissariato nonostante l'esibizione dei documenti. Il racconto della giornalista Angela Nittoli (Fatto Quotidiano)

di Eleonora Perego
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Cronisti in commissariato al blitz di Ultima generazione, Angela Nittoli ad Affari: "Altro che sicurezza, mi sono sentita sorvegliata. Mi hanno impedito di lavorare"

“Non mi sono sentita affatto più sicura. Anzi, l’ho percepita come una forma di sorveglianza”. Lo racconta senza rancore ad Affaritaliani.it Angela Nittoli, giornalista del Fatto Quotidiano che insieme al fotoreporter del Corriere della Sera Massimo Barsoum, e al giornalista de La7, Roberto Di Matteo, è stata fermata dalla polizia mentre era diretta a seguire il blitz degli attivisti di Ultima Generazione, a Roma. Nonostante l’esibizione di tesserini professionali e documenti di identità i tre sono stati portati comunque al commissariato di Castro Pretorio, dove sono stati tenuti per un’ora in camera di sicurezza, con la porta aperta.

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“Mi era già capitato che durante le manifestazioni mi venissero chiesti i documenti, e io consegnassi il tesserino da giornalista per l’identificazione. Ma una volta esibito e fatte le opportune verifiche tornavo a coprire l’evento. È stata la prima volta che mi hanno portato in commissariato; non so dire bene come mi sono sentita, ma sicuramente non me lo aspettavo”.

I tre colleghi sono stati fermati prima di raggiungere il punto in cui si trovavano gli attivisti, e sono stati invitati a seguire gli agenti di polizia: “Continuavano a ripetere che si trattava di ragioni di sicurezza, di controlli, e che avremmo impiegato solo dieci minuti” racconta ancora Nittoli ad Affaritaliani.it. Peccato che i dieci minuti sono diventati mezz’ora per strada e un’ora e mezzo circa in commissariato. I tre, fermati intorno alle dieci, sono stati rilasciati appena dopo mezzogiorno. Nittoli, quando ha avuto l’esigenza di andare in bagno, è stata accompagnata da un’agente donna. “Mi hanno chiesto di non chiudere la porta, ma di accostarla, lasciandola aperta di 5-10 centimetri. Preciso che non avevo alcuna intenzione di chiudere a chiave, ma non hanno voluto sentire ragioni”.

Unico motivo di rammarico, per la giornalista, è stato non poter svolgere il proprio lavoro. “A conti fatti, nel momento in cui siamo usciti dal commissariato, l’azione era già stata fatta per cui non ho potuto coprirla”.