De Donno suicidio, perché è morto: distrutto da comunità scientifica e social

De Donno ha infranto un tabù nel mondo medico. Le regole non scritte. Se non le rispetti finisci molto male. Colpito dalle campagne social mirate a distruggerlo

di Antonio Amorosi
Cronache
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Se una persona mite, generosa ma al tempo stesso psicologicamente strutturata come il primario Del Poma di Mantova Giuseppe De Donno finisce suicida qualcosa di grave si è insinuato nelle nostre società, da tempo e forse in modo irrimediabile. Il suo corpo è stato trovato impiccato ieri pomeriggio nell’appartamento a Curtatone in provincia di Mantova.  

Nel pieno della tempesta pandemica del 2020, quando la morte sembrava irrefrenabile per i malati Covid dati per spacciati, De Donno ne salvò prima una cinquantina e poi quasi un centinaio col plasma iperimmune. La terapia innovativa circolava timidamente quando gli chiesi quanti morti ci fossero stati nell’ultimo mese nel loro ospedale

“Non abbiamo un decesso da un mese”, rispose, “i dati sono splendidi. La terapia funziona ma nessuno lo sa”.

La mancanza di morti, nello scenario devastante che stava colpendo l’Italia e il mondo, fece esplodere tutto. Finì su tutti i giornali e le tv nazionali. La notizia raggiuse il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che definì il plasma “la cura più immediata che possiamo usare in questo momento, invitiamo tutti i guariti dal Covid-19 a donare il plasma per impiegarlo nelle cure, è stato notato un miglioramento nel 35% dei malati”.

Ma la visibilità e la speranza coincisero con accuse e pressioni da una parte della comunità scientifica, con affermazioni tra il ridicolo e il pressappochista: la cura costava troppo, era pericolosa, in realtà non aveva funzionato, non era adatta e cosa voleva questo medico di provincia, ecc.... Il plasma finì sotto la lente anche dei Nas dei Carabinieri, chiamati al Poma da non si sa chi. Partirono sistematiche campagna social per denigrare De Donno, reo di chissà quale disegno, operazioni sempre più violente con claque sistematiche di influencer che ridicolizzavano l’uomo.

Ieri sera sconvolti abbiamo chiamato dei suoi colleghi di Mantova. Così ci ha risposto uno di loro. “De Donno ha infranto un tabù nel mondo medico. Ci sono regole non scritte. Se non le si rispetta si finisce molto male. Un medico ospedaliero non può fare ricerca alla pari di un universitario. Il medico ospedaliero, sacrificandosi dopo aver fatto 38 ore di lavoro, non può fare ricerca e ottenere risultati”. Un colpo mortale è stata poi la sperimentazione che l’Istituto Superiore di Sanità ha dedicato alla cura con il plasma iperimmune: lo studio Tsunami. Dopo attese interminabili, rinvii e tempi non rispettati lo studio arriva a conclusione: il plasma non funziona.

Un mese fa De Donno dà le dimissioni dal Poma per cominciare la nuova professione di medico di base a Porto Mantovano. La scelta viene ridicolizzata dai soliti noti. “Quando l’ho saputo ho un po' tremato. Non si rinuncia così a un primariato per il quale si è lottato tantissimo!”, ci spiega il collega medico di Mantova, “poi quelle campagne social lo avevano distrutto. Credo non abbia retto a tutto il veleno che gli hanno versato addosso. Quelle persone non hanno coscienza. Ce ne hanno dette di ogni tipo”.

Ecco dove può portare l’odio dei social. Un mix letale fatto di attacchi personali gratuiti e shit storm, quelle campagne più o meno artate, di più soggetti che puntano a minare la credibilità di una persona fino a distruggerla. Le critiche nei suoi confronti erano oltretutto immotivate tanto oggi che i più grandi centri ospedalieri del mondo parlano di adottare come cura per il Covid gli anticorpi monoclonali che derivano, come tipo di terapia, proprio dal plasma iperimmune.

“Sto piangendo e non riesco a smettere”, si sfoga sconfortata una ricercatrice dell’ISS, “sono scioccata, dispiaciuta e angosciata. E’ un ambiente di merda. E’ il terzo ricercatore che si toglie la vita”. E rammenta la storia di Francesco Lo Coco professore ordinario di Ematologia, arrivato alla fama mondiale per le ricerche sulla leucemia fulminante, suicidatosi gettandosi nel fiume Tevere dal Ponte della Musica.

De Donno è stato attaccato, mortificato, denigrato perché aveva osato contraddire la narrazione ufficiale. Non si poteva e non si possono cercare strade diverse da quelle già tracciate da multinazionali farmaceutiche e governi. Si era messo di traverso alle virostar da tv, in maggioranza in conflitto di interessi, e che passano più ore nei palinsesti dei programmi televisivi che a fare ricerca.

Il giorno dopo la tv di stato, Tg1, Tg2 e Tg3, non hanno neanche dato la notizia del suicidio.