Delitto di via Poma, atti Antimafia a pm. I punti ancora oscuri, 32 anni dopo

La Commissione parlamentare passa alla procura gli atti sull'omicidio di Simonetta Cesaroni del 1990. Tutti i misteri che vanno ancora risolti

Cronache
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Delitto di via Poma: gli atti dell'Antimafia al pm

Il killer di Simonetta Cesaroni va cercato tra quanti “avevano la possibilità di ottenere un comodo punto di appoggio nel palazzo” di via Poma, “tanto da trovarvi riparo immediatamente dopo il delitto”; ha, “verosimilmente”, gruppo sanguigno di tipo A; era noto alla vittima, “almeno in termini di conoscenza superficiale od occasionale”, o comunque era in grado di apparire “rassicurante” e “non pericoloso” ai suoi occhi. E’ quanto scrive la commissione parlamentare Antimafia in un capitolo della Relazione finale sulla propria attività, approvato all’unanimità.  

Lo scioglimento anticipato delle Camere ha vanificato l’idea di una commissione di inchiesta sulla vicenda, il cui documento istitutivo era in trattazione presso la commissione Giustizia della Camera. Ma l’Antimafia, nella speranza che il progetto possa essere ripreso nella prossima legislatura, dopo aver acquisito diversi atti ed aver ascoltato alcune persone informate dei fatti - l'avvocato della famiglia Cesaroni, Federica Mondani, la sorella della vittima del delitto del 7 agosto 1990, Paola Cesaroni, e il giornalista Igor Patruno – ha deciso di trasmettere tutto il materiale alla procura di Roma, invitando i pm ad approfondire tutta una serie di elementi utili alla soluzione di un caso che “non è solo un tragico delitto di sopraffazione a sfondo sessuale, ma porta con sé delle componenti e delle tracce cupe e complesse che inducono a ritenere vi siano stati interventi di deviazione ed ostacolo delle indagini i quali hanno sino ad ora contribuito non poco ad allontanare ogni opportunità di ricostruire la verità”.

Via Poma: atti Antimafia a pm - Il depistaggio Voller

Resta da comprendere, a parere della Commissione, il ruolo svolto "dall'ambiguo supertestimone" Roland Voller, che "diede vita a un tentativo di depistaggio che inquinò non poco le acque", al punto da inserire nella vicenda il portiere dello stabile in cui avvenne il delitto, Pietrino Vanacore, come ipotetico favoreggiatore dell'omicidio con il coinvolgimento di Federico Valle, rivelatosi poi del tutto estraneo. Chi era Voller? "Un informatore cui veniva corrisposto una sorta di stipendio, per intercessione dei servizi di sicurezza e, in particolare, del Sisde - fa sapere la Commissione -. Da un appunto del 7 marzo 1996, Voller sarebbe poi stato rinviato a giudizio assieme un ispettore del commissariato Flaminio per essere stato trovato in possesso nell'ottobre del 1994 di informative riguardanti l'omicidio di Alberica Filo Della Torre". 

Via Poma: atti Antimafia a pm - Le telefonate triangolari

Il "problema delle telefonate" è – scrive l’Antimafia – “uno degli snodi nevralgici per comprendere con esattezza l'orario in cui effettivamente la povera Simonetta Cesaroni fu uccisa; la tenuta dell'alibi di alcuni personaggi chiave; l'orario esatto in cui alcune persone seppero dell'omicidio”. Si tratta di una serie di chiamate fatte a Tarano da qualcuno che asseriva di chiamare dagli Ostelli e di aver bisogno di parlare con Caracciolo di Sarno, che lì aveva una villa: si è sempre pensato che quelle telefonate abbiano fatto seguito alla scoperta del cadavere di Simonetta e se fosse confermato che – come risulterebbe da una testimonianza diretta - almeno una di esse sia stata fatta non tra le 20.00 e le 20.30 (come si è ritenuto per anni), ma intorno alle 17.00, è evidente che la scoperta del corpo sarebbe avvenuta ben prima di quella “ufficiale”.

Via Poma - L'identikit dell'omicida

Simonetta Cesaroni fu assassinata "da una persona che aveva un notevole livello di confidenza con lo stabile" di via Poma, "se non proprio con l'appartamento. Si deve essere trattato di persona - sottolinea la Commissione - che poteva contare su un rapporto di confidenza con la vittima o che era in grado di approfittare della fiducia di Simonetta Cesaroni o quantomeno, in via subordinata, di non indurla in sospetto o in allarme, trovandosi a tu per tu, in situazione di isolamento. Si trattava di un contesto caratterizzato dal palazzo deserto per via dell'estate romana con i suoi effetti di spopolamento in uno stabile i cui interni erano dedicati anche ad uffici". 
   

Via Poma - L'appunto di Sarno


La Commissione ha acquisito un appunto scritto nel gennaio del ‘92, e redatto da un commissario di polizia per il dirigente della Digos, con testimonianze relative alla posizione dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, presidente all’epoca dei fatti del comitato regionale dell’Aiag (Associazione italiana alberghi per la gioventù). Dall'appunto emerge che Di Sarno, scomparso nell’estate del 2016, si trovava a Roma nelle ore del pomeriggio dell'omicidio: non sarebbe stato a Tarano (Rieti) o ad accompagnare parenti all’aeroporto di Fiumicino, come ha sempre dichiarato; sarebbe rientrato nello stabile in cui risiedeva, in via largo della Gangia, a poche decine di metri da via Poma, nel pomeriggio del 7 agosto 1990; si sarebbe rivolto “in modo inusitato” alla portiera del suo palazzo, sottolineando di essere in procinto di incontrare la figlia all'aeroporto.

Via Poma e l'enigma del furto al caveau


Tra le 147 cassette di sicurezza (su 900 presenti), oggetto di furto messo a segno nel luglio del 1999 dall'ex militante dei Nar Massimo Carminati, autore di uno spettacolare colpo nel caveau della banca interna al palazzo di giustizia di Roma, ve ne era una riconducibile proprio all'avvocato Caracciolo di Sarno. L'episodio "da un lato renderebbe ancora più utile accertare quale fosse il contenuto sottratto da Carminati - è scritto nella Relazione finale -, dall'altro, indurrebbe a ritenere che Caracciolo di Sarno avesse un ruolo di potere ed una riserva di influenza tutt'altro che trascurabili quando, nel 1990, avvenne il delitto Cesaroni".

Via Poma - Il killer ha il sangue Gruppo A

Nell’intervista andata in onda in una puntata di “Chi l’ha visto” dedicata al giallo di via Poma una persona - opportunamente oscurata e le cui risposte sono state mandate in video con la voce contraffatta – sembrerebbe suggerire agli inquirenti l’opportunità di procedere ad una ulteriore verifica del gruppo sanguigno delle persone residenti nello stabile all'epoca dei fatti. E’ estremamente probabile, infatti, che il killer sia di gruppo sanguigno A, “perché sarebbe altrimenti poco spiegabile che a tale gruppo sanguigno debbano essere ricondotte le macchie ematiche rinvenute su interno, esterno e maniglia della porta della stanza dove venne ritrovato il cadavere”.

Via Poma - il comportamento di Pietrino Vanacore

Tra i tanti punti che rischiano di rimanere irrisolti c'è il comportamento tenuto il giorno del ritrovamento del cadavere dal portiere dello stabile di via Poma, Pietrino Vanacore, morto suicida in una località pugliese il 9 marzo del 2010 (tre giorni prima della sua testimonianza nel processo in corte d'assise) e dalla moglie Giuseppa De Luca. Di quest'ultima - evidenzia la Commissione - colpiscono "la resistenza a consegnare le chiavi dell'appartamento al personale delle Volanti" e "il possesso delle chiavi con il nastrino giallo in dotazione del personale degli Ostelli, che dunque non avrebbe dovuto essere nella sua disponibilità". Da chiarire anche la questione legata alla "riconsegna dell'agendina rossa 'Lavazza' (insieme agli effetti personale di Simonetta Cesaroni), ma appartenente a Vanacore che ha sempre dichiarato di non essere entrato nell'appartamento in un momento anteriore al ritrovamento del cadavere". Altro mistero sono "le discrepanze di luoghi e orari per Vanacore dalle 22.30 alle 23" del giorno del delitto.

    "Appare ormai estremamente probabile - è la conclusione della Commissione - che una seconda catena di eventi si sia verificata a cominciare dal rinvenimento del corpo della povera vittima, da parte del portiere Vanacore; che questi abbia effettuato una serie di chiamate a cominciare da Tarano, nel presupposto di parlare con Caracciolo di Sarno; che al fallimento del primo tentativo di rintracciare il presidente dell'Aiag abbia fatto seguito un'ulteriore sequenza di chiamate che quantomeno allargò l'ambito di conoscenza delle persone informate del delitto; che fu questa sequela di gesti a rendere difficoltosa la conduzione delle indagini sull'azione omicidiaria che, ancora oggi, potrebbero essere, se sterilizzate dalle commistioni dovute alla probabile seconda catena causale innescata (o almeno alimentata) dal defunto Vanacore, condotte a buon fine". (AGI)