Delitto Moro, “infiltrati dei servizi inglesi nelle Br”: il filo con le stragi

La trasmissione di Sigfrido Ranucci torna sull'assassinio dello statista Moro, e traccia un collegamento con le stragi del 1992

Di Redazione Cronache
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Delitto Moro, “infiltrati dei servizi inglesi nelle Br”: il filo nero con le stragi del 1992

Domenica sera la trasmissione "Report" condotta da Sigfrido Ranucci è tornata sul caso dell'assassinio di Aldo Moro, ricostruendo gli ultimi giorni della prigionia: il servizio parte con la trattativa portata avanti dall’ex vicesegretario Signorile, che viene interrotta dalla notizia del ritrovamento del cadavere di Moro (il 9 maggio 1978). Secondo Signorile il Viminale sarebbe venuto a conoscenza del cadavere attorno alle 11, prima della telefonata di Morucci al professor Tritto. La verità giudiziaria si poggia sul memoriale di Valerio Morucci e della compagna Adriana Faranda: Morucci si è dimostrato reticente, come tutti i brigatisti, nel voler fare luce su tutte le zone d’ombra, sul memoriale. I brigatisti non hanno pubblicato la parte del memoriale su Gladio, sui rapporti della DC e le banche, su Andreotti: secondo Signorile ci sarebbe un patto occulto tra la DC e i brigatisti per nascondere e proteggere i “nemici di Moro”.

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Nel memoriale, ritrovare 12 anni dopo, Moro accusava il suo partito e il papa di aver fatto poco per la sua liberazione, di averlo abbandonato: “liberatelo così, senza condizione..”.

La trasmissione evidenzia come la morte di Moro rientri nel campo della strategia della tensione, termine inventato dal quotidiano The Observer due giorni dopo la strage di Milano, nel dicembre 1969, con l'obiettivo di tener fuori dall’area di governo il partito comunista in tutti i modi. Nel memoriale Moro fa capire che quel termine, strategia della tensione, è riferito alla sua politica: la politica di apertura al PCI, a centri di potere diversi da quelli del patto atlantico. Una politica in contrasto con i dettami della guerra fredda, come aveva cercato di fare Enrico Mattei, ucciso in un attentato a Bascapè nel 1962. Anche lo storico e scrittore Giovanni Fasanella ha toccato il punto delicato sugli interessi stranieri in Italia: assieme a Mario Jose Cereghino hanno studiato per anni i documenti via via desecretati dello spionaggio inglese in Italia conservati nei National Archives di Kew Gardens a Londra. Ed è qui che scoprono un tesoro rimasto sepolto per decenni anche sul caso Moro: 

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“Una serie di documenti sulle riunioni di una Commissione segreta del governo britannico che lavorò nei primi sei mesi del 1976. Questa Commissione aveva avuto il compito dal governo britannico di elaborare dei piani di guerra clandestina, di operazioni illegali e clandestine da attuare in Italia per neutralizzare la politica di Aldo Moro. Molte le ipotesi prese in considerazione, alla fine ne rimase una: colpo di Stato militare, classico. Questa opzione venne discussa con la Germania federale, la Francia e gli Stati Uniti d'America. All'epoca era Kissinger il referente di questa Commissione dei quindici del governo britannico. E naturalmente c’erano perplessità, c’era addirittura chi prevedeva il bagno di sangue nel caso in cui ci fosse stato un colpo di stato militare di destra. Alla fine cosa si decise? Si decise per il piano B, appoggio ad una diversa azione sovversiva.” Quali sono queste azioni sovversive nel dettaglio – ha chiesto nel servizio il giornalista di Report?

“La propaganda occulta, influenzare i giornali, corromperli, pagare i giornalisti, utilizzarli come strumento per condizionare la politica. Una volta individuato un nemico, a livello più basso, la corruzione. Se non funziona la corruzione, la macchina del fango, l’intimidazione, fino all’eliminazione fisica.” Il vicesegretario socialista di quegli anni, Claudio Signorile, come raccontato nel precedente servizio di Report, mediò con le Brigate Rosse tramite alcune esponenti dell’autonomia operaia per la liberazione dello statista democristiano. Signorile aveva raccontato che nell’ultima settimana della prigionia le Br furono “come affiancate”. Nella vicenda Moro sono intervenute realtà esterne al brigatismo a condizionare la soluzione finale – è la tesi di Signorile, ma a che cosa si riferisce? "Le provenienze sono queste, inglesi, americani ma in modo marginale, francesi, ma gli inglesi hanno il primato, perché hanno il ruolo di coordinamento, sono quelli responsabili dei processi politici. Quando loro dicono ‘i comunisti in Italia sono un problema serio che va affrontato fino alle estreme conseguenze..’.”. Gli inglesi erano anche nei partiti di governo, infiltravano anche i partiti, gli apparati.

Nella seconda parte del memoriale, poi, si parla del rapporto della DC e le banche, del rapporto di Andreotti e Sindona. Nella terza parte scrive di chi ritiene sia responsabile del rapimento: scrive del suo partito, di Andreotti (“lei passerà senza lasciare traccia”), scrive di rinunciare alle cariche.

Il generale Jucci, continua il servizio di Mondani, fu inviato da Moro nella Libia di Gheddafi nei primi anni 70: fu capo del controspionaggio comandando i carabinieri poi negli anni 80. Amico di Moro e di Cossiga, oggi a 98 anni racconta che se non ci sono dubbi che ad uccidere Moro siano stati i brigatisti, “ma certamente le BR avevano dei burattinai, almeno io lo penso, come i burattinai li avevano chi cercava di liberare Moro”. Fu allontanato da Roma nei giorni del rapimento, per far sì che non si occupasse della vicenda: se fosse stato presente avrebbe intercettato il monsignor Bernini, avrebbe intercettato gli amici di Moro che ricevevano le lettere dalle BR, oltre a Piperno e Scalzone.

Nel comitato di crisi erano presenti persone vicine a Cossiga: era presente anche Pieczenick, che aveva un ruolo, non solo quello di salvare Moro. Sugli errori commessi dagli investigatori aggiunge: “Quello che mi rammarica è che probabilmente questi errori furono fatti per volontà di farli”. Le BR avrebbero avuto dietro un burattinaio, fa intendere Jucci; ma anche lo Stato aveva dietro un burattinaio: Steve Pieczenick, il suo ruolo è stato tenuto nascosto, molte informazioni sono emerse dai leaks di Assange. Ma poi nelle sue memorie raccontò che Moro doveva morire per salvare l’Italia, quello alla fine fu la sua missione “da manipolatore” in Italia.

Report, il "filo nero" che lega la morte di Aldo Moro con le stragi del 1992

Un filo nero - continua il servizio di Report - lega la morte di Moro con le stragi del 1992: si chiama strategia della tensione. Dopo il 1989, con la caduta del muro di Berlino, crolla il patto di omertà che legava centinaia di agenti segreti, gladiatori, professionisti dell'eversione di destra e altrettanti boss mafiosi che avevano collaborato alla strategia della destabilizzazione del nostro paese dal dopoguerra.

Giovanni Falcone intuisce questo intreccio proprio mentre, anni dopo, sta indagando sull'omicidio di Piersanti Mattarella. Siamo a dicembre del 1991, Falcone va a cena da Pino Arlacchi, suo principale collaboratore. Arlacchi ha raccontato a Report il contenuto di quella conversazione: “Mi disse: ho parlato con una fonte molto importante a cui io do credito che mi ha raccontato alcuni particolari dell’omicidio Mattarella, che ha confermato quello che pensavo già da tempo e cioè che sia stato un caso Moro bis”. Mattarella agli occhi di P2, Gladio e ambienti mafiosi aveva superato la stessa linea rossa che aveva superato Aldo Moro: stava cercando l'accordo con i comunisti in Sicilia. Dopo l’uccisione di Falcone e il decreto che istituiva il 41bis, il ministro della DC Vincenzo Scotti viene rimosso: “Prevalse la linea della convivenza, che poi degenera facilmente in connivenza con la mafia”.

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La commissione antimafia del governo di centrodestra, oggi, sta però approfondendo solo il filone sul rapporto mafia e appalti del ROS (su cui Paolo Borsellino aveva deciso di indagare): ma è stata quella la causa della sua morte, e della morte di Falcone? Secondo l’ex magistrato Roberto Scarpinato è un errore, le due stragi sono legate, la tesi secondo cui la tangentopoli siciliana dietro il rapporto del Ros è dietro la morte dei due magistrati non sta in piedi. I politici siciliani delle tangenti erano finiti nel mirino della mafia perché erano ritenuti non più affidabili: questa tesi piace alla politica e al centrodestra perché ferma le indagini alla prima repubblica e non tocca i partiti della seconda, come Forza Italia.

Però alla fine la pista sul rapporto mafia appalti mette d’accordo Mario Mori, ex generale del Ros, con l’avvocato Trizzino, che tutela la figlia del giudice Paolo Borsellino.