Denatalità, Filandri: "Serve intervenire sulle condizioni di lavoro femminile"

La sociologa dell'università di Torino dialoga con Affaritaliani.it sulle cause del problema demografico in Italia e sulle possibili soluzioni

di Eleonora Perego
Cronache

Denatalità e occupazione femminile, la sociologa Filandri ad Affari: "Lo strumento per conciliare lavoro e famiglia? Il reddito"

Le nascite, nel 2022, hanno toccato un nuovo minimo storico: solo 393mila, con un calo della popolazione residente pari al -3% al 1° gennaio 2023. Dati preoccupanti, che si sommano a quelli – altrettanto preoccupanti – dell’occupazione femminile, e che recentemente hanno suscitato diversi proclami ad effetto. Tra tutti quelli del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha “promesso” di detassare le famiglie con più figli. O ancora della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che auspica una maggiore occupazione femminile proprio per promuovere la natalità. Senza contare la discussa uscita del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che ha paventato il rischio di una “sostituzione etnica” laddove non si intervenga repentinamente a risollevare la demografia italiana.

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Affaritaliani.it ha affrontato il tema con Marianna Filandri, professoressa di Sociologia delle disuguaglianze economiche e sociali e Analisi dei dati per la ricerca applicata e la valutazione delle politiche presso l'università di Torino.

La denatalità in Italia, è un dato di fatto. La “clamorosa proposta” del ministro Giorgetti di dare incentivi fiscali, o detassare, le famiglie che fanno più figli è la vera soluzione al problema?

Qualsiasi politica per la famiglia è la benvenuta. Quelli proposti sino ad ora sono sì incentivi che possono portare le coppie a decidere di avere un figlio, ma si tratta chiaramente di incentivi “indiretti”, che fanno leva sulla fiscalità. In realtà la denatalità è un fenomeno complesso, le cui cause vanno cercate in varie dimensioni; non è un problema che si può risolvere dall’oggi al domani.

Inoltre la leva fiscale come strumento rende necessaria una discussione, a prescindere dalla questione di genere e dei figli. Soprattutto perché si deve ragionare per un lungo periodo, quindi su investimenti duraturi, strutturali, che consentano una sostenibilità finanziaria.

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Quali sono queste “dimensioni” del fenomeno per cui le donne, e le famiglie, decidono più o meno involontariamente di fare meno figli?

La presidente del Consiglio ha messo in relazione il bisogno di intervenire sull’occupazione femminile con il tema della natalità. Prima di tutto, quindi, è utile interrogarsi sui motivi per cui l’occupazione femminile è bassa, e se questa è legata all’idea di fare figli. La base comune che porta a una bassa fertilità e a una bassa occupazione sono le condizioni del mercato del lavoro in Italia.

Parliamo, quindi, del “gender pay gap” e della necessità per le donne di guadagnare di più?

Sicuramente i soldi sono un elemento dirimente, perché i figli costano: i dati ci dicono che la probabilità di cadere in povertà cresce di molto alla nascita di un figlio, questo ha dei costi ma non porta reddito. Sempre i dati ci dicono che a 5 anni dalla laurea le donne sono pagate il 20% in meno, a parità di titolo di studio e di competenze, degli uomini. Questo è interessante anche e soprattutto perché le donne studiano più a lungo e hanno una carriera più brillante.

Una discriminazione a livello salariale potrebbe sussistere laddove si provasse che le donne sono meno produttive degli uomini, ma come può un’azienda, a un anno dalla laurea, dire che una donna è meno produttiva di un uomo? La verità è che nel mondo del lavoro vengono preferiti ancora gli uomini perché le donne vengono viste come ostacolate dalla necessità di bilanciare lavoro e famiglia: per dirne una, le scelte riproduttive portano a un congedo di maternità obbligatoria, che per le aziende rappresenta un costo.

Le donne, insomma, devono poter lavorare di più, e devono poter guadagnare di più. Più occupazione, più reddito, maggior possibilità di avere figli?

Chiaramente il migliore strumento di conciliazione tra lavoro e famiglia rimane il reddito; i soldi spiegano in gran parte il ritardo nel concepimento da parte delle donne italiane: se si vuole aumentare la “fertilità” della donna bisogna anzitutto investire nelle condizioni economiche che consentono alle donne di procreare. Ma i soldi non spiegano tutto; non si tratta solo di “lavorare di più e di guadagnare di più” per poter comprare i servizi necessari alla cura di un figlio.

Anzitutto perché non basta aumentare il lavoro, ma serve renderlo qualitativo. Le donne non solo sono meno occupate, sono meno pagate, ma hanno lavori più instabili: i dati dicono che, per esempio, i contratti a tempo determinato sono più diffusi tra le categorie “fragili” (tra cui appunto le donne). E anche l’incertezza lavorativa è un deterrente alla natalità… . Si tratta di problemi interconnessi: per esempio, il fatto che gli uomini siano pagati di più sul mercato del lavoro comporta anche che quando i costi di cura diventano eccessivi sia la donna a lasciare il posto di lavoro per occuparsi dei figli.

Se non è solo una questione di “quantità”, su cos’altro lo Stato deve intervenire per mettere le donne nella condizione di poter avere figli?

Stiamo parlando della necessità di interventi strutturali, che esulano il solo mercato del lavoro. Infrastrutture, e soprattutto servizi di cura, un sistema di welfare che vada incontro alle famiglie. In Italia c’è una carenza rispetto alla media dei Paesi europei, documentata, di servizi fondamentali come la presa in carico alla nascita, i servizi 0-3 anni e la scuola per l’infanzia. Questi, ancora troppo spesso, vengono presentati come “misure di conciliazione”, funzionali alla sola presenza della donna nel mercato del lavoro. O ancora le diverse proposte di congedo di paternità obbligatorio, e di pari durata a quello della donna.

A tutti gli effetti abbiamo servizi sufficienti a garantire la necessità che ci sarebbe sul territorio, e molto spesso quelli che ci sono non sono adeguati.

Tutto questo è parte di un problema culturale ancora esistente, per cui si pensa che la “donna in carriera” farà meno figli?

Un dato oggettivo dell’Istat è che il numero di figli avuti dalle donne è inferiore al numero di figli che le donne dicono di desiderare. Quello che Lei riporta è un luogo comune, perché in realtà si può notare come in quasi tutti i Paesi europei ci sia una correlazione positiva tra il tasso di occupazione femminile e il tasso di natalità.

Un dato altrettanto oggettivo è che investire nei servizi è fondamentale per la collettività in primis.

Il ministro Lollobrigida ha collegato il tema della denatalità alla possibilità che questa porti a una “sostituzione etnica”. E' davvero così?

Io sarei molto cauta a parlare di "sostituzione etnica". Questa comporterebbe che, a fronte di pochi giovani e di pochi nati, la popolazione sia in qualche modo sostituita da persone immigrate. Tuttavia noi abbiamo altri problemi, che riguardano sempre il mercato del lavoro. Anzitutto noi abbiamo una forza lavoro molto qualificata che compete per una serie di posizioni poco qualificate, rispetto alla media dei Paesi europei. Inoltre, proprio per questo motivo, moltissimi nostri giovani lasciano l'Italia, non siamo in grado di tenerli ... Come si può parlare di "sostituzione etnica" quando le condizioni sono impari?

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