Don Lorenzo Milani cattivo maestro: così ha fallito la scuola italiana

Niente competizioni, libri classici e nozioni semplificate: la sua scuola doveva essere “democratica” e cioè ostile ai “figli dei ricchi”

Di Giuseppe Vatinno
Don Milani
Cronache

Don Lorenzo Milani un cattivo maestro, i suoi danni li scontiamo ancora oggi nella scuola italiana. L'analisi 

Tre giorni fa tutta l’Italia si è sorbita il festeggiamento del centenario della nascita di Don Lorenzo Milani, il prete fiorentino presunto educatore di pueri nella sua mitica scuola di Barbiana. Milani fu un sessantottino ante litteram il cui libro “Esperienze Pastorali” fu dapprima pubblicato con l’imprimatur ecclesiastico e poi revocato dal Sant’Uffizio nel 1958 e solo nel 2014 ha avuto il via libera. La sua era una ricca famiglia borghese, la madre ebrea boema, confermando Idealtipo radical –chic della sinistra. Uno che infatti piace allo spasimo a Elly Schlein.

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Il ragazzo si diploma al liceo ginnasio Berchet di Milano ma è un asino ed ha scarso profitto. Il ragazzo è bizzarro e finite le scuole vuole fare il pittore ed inizia nel 1941 pure a frequentare lo studio di un artista tedesco durante la guerra. È la disperazione della sua famiglia. Quando faceva il pittore Milani si infatua di una bella ragazza dai capelli rossi, Tiziana Fantini, che era già impegnata sentimentalmente ma questo non impedì ai due di frequentarsi, anzi. Successivamente però sente il richiamo della fede e prende le distanze da Tiziana che diverrà invece pittrice.

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Nel frattempo, oltre che il richiamo dello spirito, il futuro prete sente anche i morsi della carne e “quasi si fidanza” con Carla Sborgi. Milani nel 1943 molla pure Carla che ci rimarrà malissimo, si converte, ed entra in seminario dove c’è tanto latinorum e relative conseguenze carnali e nel 1947 viene ordinato sacerdote.

Ma si tratta di un “prete matto” che comincia subito a litigare furiosamente con la Curia che lo caccia. Allora se ne va ingrugnato nel paesino del Mugello di Barbiana dove fonda la celebre scuola. La sua scuola doveva essere “democratica” e cioè ostile ai “figli dei ricchi”, il che equivaleva per lui tutte le persone normali. Gli arriva addosso una gragnuola di giuste critiche.

Per rispondere ad esse scrisse un libello dal titolo simil erotico, “Lettera ad una professoressa”, divenuto cult per tutti i radical – chic di sinistra. La sua pedagogia era quella del “professore amico” che ha prodotto danni irreparabili nella scuola italiana e ancora ci stiamo combattendo. Per lui la scuola non doveva essere competitiva, non doveva prevalere il merito ma solo l’aiuto agli studenti poveri. Quindi le nozioni dovevano essere semplificate, con il maestro che preparava la pappetta culturale masticandola prima e poi rigurgitandola.

Da qui la produzione in serie di asini che ha sfornato la scuola italiana negli anni successivi. L’attuale degrado scolastico italiano è infatti proprio il frutto avvelenato della visione di Don Milani che non voleva si insegnasse la grammatica, i classici come L’Iliade tradotta dal Monti oppure Foscolo parchè la difficoltà di questi testi avrebbe “umiliato” il ragazzo povero.

Il suo motto, anche questo radical – chicchissimo, ripreso da Veltroni ed Obama era “I Care”, “Io me ne occupo” contrapposto al fascistissimo “Me ne frego”, che tanto lo aveva turbato nella sua adolescenza privilegiata. E poi tragicomico il finale di “Una lettera ad una professoressa”: «Bisognerebbe intendersi su cosa sia lingua corretta. Le lingue le creano i poveri (...) I ricchi le cristallizzano per poter sfottere chi non parla come loro (...). Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua, l'ha detto la Costituzione. Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione”. E poi ancora: «A pedagogia vi chiederemo solo di Gianni. A italiano di raccontarci come avete fatto a scrivere questa bella lettera. A latino qualche parola antica che dice il vostro nonno. A geografia la vita dei contadini inglesi. A storia i motivi per cui i montanari scendono al piano. A scienze ci parlerete di sarmenti e ci direte il nome dell'albero che fa le ciliegie», cioè banalmente “il ciliegio”, aggiungiamo perfidamente noi.

Quindi via le nozioni serie per introdurre un pacato lessico familiare per non mettere in difficoltà l’alunno. Insomma la proposta didattica di Don Milani era quella di togliere tutte le cose difficili e impegnative per non turbare i “poveri” che in questo modo venivano due volte penalizzati: dalla povertà e dall’ignoranza con cui uscivano dalla sua finta scuola. Famosa la polemica che scoppiò nel 1992 ad opera dello scrittore Sebastiano Vassalli “Don Milani, che mascalzone”, ospitata stranamente su Repubblica, in cui il maestro di Barbiana finì sonoramente sbertucciato da un autore oltretutto di sinistra.

Invece lo scrittore Walter Siti ha espresso dubbi su una possibile pedofilia di don Milani a causa di una lettera del 10 novembre 1959 spedita da don Milani a Giorgio Pecorini, un suo amico giornalista de l’Europeo: “... che se un rischio corre per l'anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)”. Altri lo difesero parlando di “ricostruzioni becere” dovute al fatto che don Milani avesse uno “stile confuso” e ciò non sorprende da uno che voleva abolire la grammatica.

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