Donne senza gonne e gonne senza donne: il lato B di Ferragni è situazionista

Chiara Ferragni toglie la gonna dal suo abbigliamento griffato senza aggiungere null'altro: la sua scelta estetica non è erotismo, ma un atto di stile

di Maurizio De Caro
Cronache

Chiara Ferragni rappresenta l’unica forma di naturalità esistente, la vera nipotina delle femministe che bruciavano i reggiseni in tempi non sospetti 

Ne è passato di tempo da quando il professor Vecchioni, anelava “una donna con la gonna”, in netto conflitto con una sinistra che considerava quell’innocente indumento lontano dai dogmi dell’epoca e che vedeva nel “Dio Jeans Uni-sex”, l’unico modo di essere la prima anticamera dell’annientamento del genere.

Ma non troppi anni erano trascorsi da quando Mary Quant aveva tagliato due decimetri di gonna, lasciando ben poco all’immaginazione e alla lascivia maschile che anche in quella occasione non aveva compreso che la liberazione era nella consapevolezza della donna, di quella donna che da quel momento sarebbe stata in grado di gestire la sua sessualità se non addirittura l’ inaccettabile promiscuità.

Londoncaput mundi” ha dettato le regole per l’affermazione post-femminista nel pianeta, spiegando anche ai baciapile che la vergogna e l’oltraggio al pudore, risiedono saldamente negli occhi e nelle menti di chi guarda con occhi putridi e spenti. L’alternanza semantica degli stili e delle lunghezze ci hanno portato avanti e indietro nel tempo tra corsi e ricorsi storici, ma il problema della gonna ha urtato la sensibilità di retori, benpensanti e antropologici come se su quella lunghezza, su quella foggia o stile, si potesse catalogare una tipologia con le pulsioni annesse, ma sempre argomento di scandalo politico, religioso e sociale.

Serviva la nostra “Afrodite istantanea”, “Nostra Signora Grandi Firme”, al secolo Ferragni Chiara per andare oltre, per chiudere questo ciclo, e come ogni sua azione quotidiana è stata capace di trasformare il suo “gesto lieve e provocatorio”(??) in un uragano di critiche, se non di insulti che però hanno reso la nostra Bionda, sempre più forte , invulnerabile e soprattutto irraggiungibile. In fondo ha deciso di togliere la gonna dal suo abbigliamento griffato, elemento per elemento e contrasto per contrasto, ha deciso di eliminare questo fondamentale e storico indumento senza aggiungere null’altro che la nudità velata da calze nere delle sue gambe magre.

Anche la vista esibita degli slip non aggiunge e non toglie a questo gesto perfettamente situazionista, uno spettacolo replicato per milioni di “like” sul suo terreno virtuale, la sua “nazione digitale” che la idolatra in ogni istante, non lasciandole alcuno spazio privato. La scelta estetica della Ferragni non implica derive di natura erotica o sessuale, è solo stile auspicabile o detestabile ma Uno Stile, e in questo progetto si avverte la sua capacità di essere nella sua perenne istantaneità l’unica vera nipotina delle femministe che bruciavano i reggiseni in tempi molto sospetti, Chiara è una donna senza tempo e senza turbamenti, perché produce immagini iconiche.

Nella sua infinita costruzione quotidiana rappresenta l’unica forma di naturalità esistente, come se far vedere le gambe fosse l’ultima frontiera dell’essere contemporanei, molto più e molto meglio che poter passeggiare nude per via Montenapoleone. L’impianto filosofico della sua immagine è molto denso, sfida se stessa e gli altri, in una serata permanente del Festival dei Sanremo, inattaccabile se non dagli spocchiosetti statici, di destra e di sinistra, dunque vecchi e bavosi, o tristi e livorosi.

Quelle immagini reiterate nell’etere all’infinito mettono al riparo dal “becerismo erotomane” di certa stampa e di certa tivvù, dove anche l’Iva ottantenne canterina deve sempre dimostrare che lei “è ancora una donna donna, donna con la gonna”, ma quanto è distante da tutta la marginalità provinciale questo semplice gesto che non denuda nulla, nasconde solo il vero impresentabile. Cara Chiara dunque, passeggia come vuoi e dove vuoi tanto nessuno riuscirà mai a renderti invisibile, almeno per “l’oggi” che poi è la misura comune del tempo che viviamo tutti.

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