Taranto, in manette avvocato Amara: "Pressioni a Csm per incarico a Capistro"

Obbligo di dimora per l'ex procuratore di Trani e Taranto, Carlo Maria Capristo, "favori su procedimenti giudiziari per l’ex Ilva"

Cronache
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Sono cinque le misure cautelari disposte nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Potenza in cui è coinvolto l'avvocato Piero Amara, finito in carcere. Le misure sono state eseguite dalla Guardia di finanza. Custodia in carcere anche per Filippo Paradiso, dipendente del Ministero dell'Interno e nei ruoli della Polizia di Stato. Arresti domiciliari per l'avvocato Giacomo Ragno e per Nicola Nicoletti, già consulente esterno della struttura commissariale dell'Ilva. Obbligo di dimora a Bari per l'ex procuratore di Trani e Taranto, Carlo Maria Capristo. Sequestrata la somma di 278.000 euro nei confronti dell'avvocato Ragno, pari all'importo delle parcelle professionali pagate da Ilva in amministrazione straordinaria in suo favore. Altre cinque persone sono indagate, senza misure cautelari a loro carico. 

Secondo i giudici ci sarebbe stata "una incessante attività di raccomandazione, persuasione, sollecitazione svolta, in favore di Capristo, su membri del Csm'' svolta da Piero Amara e Filippo Paradiso per un incarico direttivo a Carlo Maria Capristo che nel 2016 cessava la funzione di procuratore capo a Trani. Questa una delle accuse di corruzione in atti giudiziari contestata dalla Procura di Potenza agli indagati. Tale attività veniva svolta su membri del Csm, conosciuti ''direttamente o indirettamente'' e veniva svolta pure su ''soggetti ritenuti in grado di influire su questi ultimi, in occasione della pubblicazione di posti direttivi vacanti d'interesse del Capristo (fra cui la Procura generale di Firenze, la Procura della Repubblica di Taranto ed altri ancora)''. 

Per Amara e' scattato l'arresto nell'ambito di un'inchiesta sull'ex Ilva coordinata dalla Procura della Repubblica di Potenza e nella quale e' coinvolto appunto anche l'ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo. Amara e' al centro pure dell'inchiesta della Procura di Milano sul cosiddetto "falso complotto Eni": ai magistrati lombardi l'avvocato siciliano rilascio' dichiarazioni sulla presunta loggia Ungheria. 

L'auto-assegnazione dell'ex procuratore di Trani Carlo Maria Capristo di due procedimenti penali nati da esposti anonimi fatti consegnare da Piero Amara era finalizzata ad ''accreditare presso l'Eni Amara quale legale intraneo agli ambienti giudiziari tranesi in grado di interloquire direttamente con i vertici della Procura ed al fine, quindi, di agevolarlo nel suo percorso professionale''. Questa un'altra delle accuse della procura di Potenza a Capristo e Amara, ritenuto intermediario. In questi esposti anonimi, dalla ''palese strumentalità'', veniva prospettata ''la fantasiosa esistenza di un preteso (ed in realtà inesistente) progetto criminoso, che risultava, in modo ovviamente artificioso, concepito in Barletta, proprio affinché il fatto fosse di competenza della Procura di Trani, che mirava a destabilizzare i vertici dell'Eni ed in particolare a determinare la sostituzione dell'amministratore delegato De Scalzi che in quel momento era invece indagato dall'autorità giudiziaria di Milano''. 

SCHEDA/ Ex Ilva, scambio favori Amara-Capristo su inchiesta

La Procura della Repubblica di Potenza accende un nuovo faro sull’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, sottoposto da oggi all’obbligo di dimora. L’inchiesta riguarda la gestione di alcune vicende relative all’ex Ilva quando Capristo guidava la Procura di Taranto. L’avvocato siciliano Pietro Amara, oggi arrestato, sarebbe stato l’uomo di contatto con Capristo quando il legale era consulente per conto dell’amministrazione straordinaria di Ilva, quest’ultima affidata a commissari di nomina Mise. Ci sarebbe stato, secondo la Procura di Potenza, uno scambio di favori relativi ai procedimenti giudiziari per l’ex Ilva, azienda che negli anni di Capristo a Taranto chiese anche un patteggiamento.

Ai nuovi provvedimenti di oggi, i magistrati di Potenza sono arrivati sulle tracce della prima inchiesta, quella che a maggio dello scorso anno aveva portato Capristo agli arresti domiciliari per una vicenda relativa a pressioni che lo stesso Capristo, quando guidava la Procura di Trani, avrebbe esercitato sulla pm Silvia Curione in merito a un'inchiesta. Quest’ultima, moglie di un pm, Lanfranco Marazia, che è stato sostituto di Capristo a Taranto (Curione e Marazia sono oggi alla Procura di Bari mentre Capristo, che ha sempre respinto tutte le accuse ed è attualmente a processo a Potenza, è in pensione).   

Sotto la sua gestione a Taranto, Capristo si è interessato più volte di questioni relative all’ex Ilva. Un attivismo che non passó inosservato anche se ripetute volte la Procura si è interessata della fabbrica e non solo per le vicende relative all’inchiesta Ambiente Svenduto, cioè la gestione del gruppo Riva, inchiesta sfociata in un processo in Corte d’Assise conclusosi a fine maggio scorso con pesanti condanne. A marzo 2019, per esempio, Capristo promosse nel suo ufficio un vertice con diversi soggetti, non solo giudiziari, per un punto di situazione sui lavori di bonifica agli impianti. Al vertice parteciparono l’allora commissario di Governo alla bonifica di Taranto, Vera Corbelli, l’Arpa Puglia ed anche ArcelorMittal Italia, con l’allora amministratore delegato Matthieu Jehl.

ArcelorMittal era subentrata da novembre 2018 ai commissari di Ilva divenendo gestore degli impianti. Finito il vertice, nessuno dei partecipanti rilasció dichiarazioni ai giornalisti. Parlò solo Capristo e disse: “Ci saranno incontri periodici in Procura. Ognuno rappresenterà i lavori che vengono eseguiti e programmati sotto la supervisione del nostro uffici”. “Lo Stato c'è - disse ancora il procuratore - e oggi era presente in tutte le sue componenti di verifica e di validazione di dati certi. Le risposte immediate ci sono perché i programmi in corso d'opera saranno verificati anche da noi”.   

Ma prim’ancora, a settembre 2016, Capristo dissequestró dopo breve tempo il nastro trasportatore dell’altoforno 4 del siderurgico di Taranto dove c’era stato un incidente mortale sul lavoro. Aveva perso la vita Giacomo Campo, un operaio 25enne dipendente dell’impresa appaltatrice Steel Service, rimasto incastrato nel nastro trasportatore mentre rimuoveva il minerale dallo stesso nastro. Il procuratore Capristo, annunciando il dissequestro del nastro e della relativa area, affermò che l’operazione si rendeva necessaria anche per motivi di sicurezza non potendo un impianto particolare e complesso tecnicamente quale è un altoforno, stare fermo per molto tempo.   

Emerse inoltre che il nastro trasportatore in questione presentava un ampio squarcio, di circa 200 metri, tant’è che l’azienda dovette sostituirlo mentre il nastro tagliato rimase sotto sequestro, a disposizione della Magistratura e dei periti per analizzare le motivazioni che avevano determinato la rottura. A proposito dell’ampiezza dello squarcio, il procuratore Capristo, allora, pur non parlando esplicitamente di sabotaggio, disse tuttavia che c’erano segnali, al vaglio dell’autorità giudiziaria, che facevano ipotizzare la presenza di azioni interne ed esterne alla fabbrica contrarie al progetto di risanamento ambientale.