Femminicidio e violenza sulle donne: cosa si deve fare
Denunciare, parlare, mai giustificare e non sentirsi in colpa. Senza esagerare con il "patriarcato"
Femminicidio e violenza sulle donne: cosa si deve fare
Oggi, 25 novembre, ricorre, come ogni anno, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, una piaga tutt’altro che in via di risoluzione, tanto più nel nostro Paese.
Panchine rosse, scarpette rosse, codice rosso, ma di rosso rimane solo il sangue versato da innocenti, la cui colpa è appartenere all’ ‘altra metà del cielo’ ed essersi innamorate o fidate dell’uomo sbagliato.
Una donna su tre, nel mondo è vittima di violenza o l’ha subita.
Maltrattamenti, molestie, stupri, aggressioni, stalking e persecuzioni varie, fino all’epilogo più grave.
Si stimano almeno 51 mila femminicidi nel 2023, di cui 100 solo in Italia nel 2024 (che ancora non è terminato), la maggior parte – ci dice il Viminale – per mano di mariti, partner ed ex.
Non sarà l’imminente ergastolo ad Impagnatiello e quello a Turetta (il termine ‘signor’ non riesco proprio ad anteporlo) a fare giustizia, sanando un vulnus profondo che lacera sempre di più questa nostra società in decadenza. Perché nonostante gli appelli, i numeri rosa e i massicci interventi legislativi, le statistiche ci restituiscono dati in continua crescita, soprattutto fra le nuove generazioni: un’adolescente su quattro è stata abusata dal partner. Le millennials (nate tra il 1980 e il 1994) e le ragazze della generazione Z (nate tra il 1995 e il 2010) sono le più colpite dalla violenza perpetrata con l’uso della tecnologia.
Cosa sta accadendo e come intervenire?
La prima cosa è non sbagliare obiettivo, come sta accadendo con la dichiarazione di guerra agli ‘uomini’ in quanto tali, sotto la bandiera del patriarcato. Non è il genere di appartenenza a determinare la responsabilità. O vogliamo sovvertire l’antropologia e la teologia, attribuendo alla virilità dell’uomo una precondizione alla violenza, come se Dio avesse creato un prodotto fallato, l’uomo, e uno perfetto, la donna?
Né ha senso parlare di patriarcato come ‘mentalità’, non in un occidente dove le donne hanno raggiunto ogni obiettivo e conquistato potere e scranni un tempo nemmeno inimmaginabili.
D’accordo, manca ancora una donna al soglio pontificio e alla presidenza degli Stati Uniti d’America, ma non mettiamo limiti alla Provvidenza.
Il rischio è di creare mostri preconfezionati e costruire un mondo in cui diventa una colpa solo l’appartenenza ad un genere, magari come scusa per superare proprio la bipartizione tra uomo e donna e abbracciare le teorie gender, che hanno obiettivi diversi.
Non cadiamo dalla ‘padella alla brace’
Ogni problema va risolto senza disquisire sul sesso degli angeli, perdendosi in ragionamenti reconditi sull’origine dell’uovo e della gallina, ma affrontando la tempesta con strumenti adeguati.
Informativi, culturali, repressivi.
Nei giorni scorsi ho letto plurimi servizi che riportavano i dati allarmanti di un sondaggio fra le giovani donne italiane, secondo cui la gelosia (la pensano così al 30%) è concepita come dimostrazione di amore.
Ma proprio per niente.
La gelosia che rende tossica una relazione è da rifuggire subito e all’istante, perché è l’anticamera di ciò che poi si legge sui giornali nella cronaca nera. Occorre rescindere quel legame, chiedere aiuto, senza vergogna, a familiari e istituzioni e se il partner manifesta reazioni violente o minacciose bisogna rivolgersi alle strutture specializzate e alle Forze dell’Ordine. Le risorse ci sono, gli strumenti pure, perfettibili – certo – ma esistono e vanno utilizzati. Ma non tutti lo sanno e in pochissime se ne giovano.
Spesso ci si illude di avere la forza di cambiare il violento, ci si sopravvaluta, come Giulia Cechettin quando ha accetto di incontrare il Turetta per un chiarimento. No.
La violenza sulle donne è un fenomeno autoimmune, che si alimenta anche per l’impunità dei propri gesti e l’assenza di un disvalore percepito.
Dobbiamo fare quadrato tutti quanti – genitori, educatori, persone comuni, politici - per inaridire il terreno su cui questo fenomeno si poggia, e se non lo si riesce a fare con le buone (con la sensibilizzazione e le campagne informative, ad esempio), allora valgano le cattive, valga la paura che i violenti in fieri debbono patire ad alzare anche un solo dito sulla loro donna.
Non spegniamo mai i riflettori sulla lotta alla violenza sulle donne, anche domani che sarà il 26 novembre e tutto tornerà nell’oblio e nello stillicidio quotidiano della cronaca.