Finto ambientalismo e norme assurde, così si spezzò la corda degli agricoltori
La protesta degli agricoltori arrivano alle porte della Ue a Bruxelles, dopo anni di finto ambientalismo, burocrazia assurda e politiche "ammazza" lavoro
Green Deal, burocrazia e politiche Ue "ammazza" lavoro, i trattori arrivano fino alle porte della Ue a Bruxelles
La rivolta degli agricoltori che come uno tsunami sta invadendo il continente europeo, arriva oggi a Bruxelles, in vista del consiglio europeo straordinario. Dopo la capitale francese Parigi, assediata da giorni, è la volta della capitale europea a subire assalto di trattori e contadini.
E’ lunga la lista delle lamentele che gli agricoltori di tutta Europa stanno da mesi portando all’attenzione dell'opinione pubblica. Come l’aumento del costo del gasolio agricolo, i ritardi nel pagamento dei sussidi UE, la concorrenza delle importazioni più economiche, anche dalla Ucraina, e soprattutto i danni economici derivanti dalle norme ambientali che definire in certi casi cervellotiche è poco.
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Altre sono invece di carattere nazionale, come l’aumento della burocrazia in Francia, o quello dei fertilizzanti chimici in Olanda o quello della drastica riduzione dei sussidi per acquisto gasolio in Germania. Anche in Italia, che fino ad ora era sembrata un'isola felice, grazie anche all’attenzione del governo verso il settore agricolo, ora la rivolta comincia ad attecchire. Ma da tutto ciò, quello che sembra emergere è che l'esasperazione dei manifestanti sia stata come indotta da mesi di politiche europee, che sembravano avere come intento quello di eliminare dalla natura chi in essa ci vive e ci lavora da generazioni.
E’ come la corda che, dopo essere stata tirata, si spezza. Forse occorreva prestare maggiore attenzione alle prime avvisaglie un anno fa, dopo il clamoroso successo in Olanda della formazione di agricoltori BBB, arrivata a sfiorare il 20% alle elezioni regionali. Forse bisognava dare maggiore credito a chi, come i partiti del centro destra, Ecr e Id in testa, lamentavano un clima di quasi disprezzo verso la classe contadina e quella produttiva in genere, nel nome di un purismo ambientalista un po’ di maniera.
E’ innegabile come ormai in testa alle lamentele degli agricoltori ci sia l’impatto delle linee guida del Green Deal sul settore agricolo. Con l’obiettivo di raggiungere le net zero emissioni entro il 2050, riducendo le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030. Misure che, secondo gli agricoltori, avrebbero un effetto troppo punitivo sul settore. Provvedimenti come quello sul ripristino della natura, approvato a Strasburgo nella plenaria di novembre, e salutato con entusiasmo dai banchi di verdi e sinistre, appaiono anche a chi di agricoltura non ci vive, delle vere e pure follie ideologiche.
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Come altro si possono definire direttive che volevano tenere a riposo il 20% delle terre, ripristinare le paludi, lasciando 25.000 km di fiumi a flusso libero, rimuovendo buona parte delle barriere artificiali dai fiumi. Tutto questo per garantire, secondo i puristi verdi e di sinistra, la biodiversità e fermare il cambiamento climatico. Tutto da dimostrare la loro efficacia, ma invece appare certo l'impatto economico di queste direttiva sulla agricoltura per non parlare dell’aumento ovvio dell’aumento del rischio idrogeologico del territorio.
E allora non si può non dare ragione a chi, come Nicola Procaccini, copresidente del gruppo dei conservatori europei dell’ECR, contro queste leggi si sta battendo insieme al suo gruppo, proprio per evitare che si verifichino tutto quello che sta accadendo ora con la rivolta dei contadini, una settimana fa in occasione del Consiglio europeo su agricoltura affermava che “Fino a oggi, invece, una visione ideologizzata del settore agricolo da parte della Ue ha considerato gli agricoltori, così come i pescatori, quali nemici della natura e quindi penalizzati nella loro attività. Il risultato è la netta diminuzione delle imprese agricole negli ultimi 10 anni, unita a un vertiginoso aumento dei costi che rischia di creare danni irreparabili a un settore vitale per l'Italia e l'intera Europa".
Ed in effetti non si può negare che le politiche europee da anni siano state penalizzanti per il settore, sia sui sussidi che sull’uso dei fertilizzanti che sulle assurde agevolazioni per alcuni prodotti extra Ue a tutto scapito dei prodotti locali. Ma quello che pare aver dato la mazzata finale sono proprio le conseguenze delle politiche del green deal dell’ex commissario olandese Frans Timmermans. Ora qualcosa si muove dal momento che la commissione sembra intenzionata a venire incontro ad alcune richieste degli agricoltori, ma si rischia di chiudere il cancello quando i buoi sono ormai scappati.
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“Grazie alla loro protesta alcuni oggi al Parlamento europeo stanno cambiando direzione rispetto a quella cocciutamente impressa in questi anni. Sono gli stessi che fino ad oggi si sono fatti forti dei numeri a Bruxelles per far passare direttive e regolamenti capaci di infliggere ferite sanguinose all’intero settore agroalimentare”. Ha affermato sempre Procaccini, solidarizzando in mezzo agli agricoltori in protesta davanti al parlamento europeo.
Nessuno infatti, vuole mettere in dubbio che sia necessario intervenire per fermare il degrado ambientale e l’inquinamento, ma sono i modi con i quali l’Europa ci vorrebbe arrivare che sembrano sbagliati. Primo perché l’Europa è responsabile del 14 % dell'inquinamento del pianeta, e non può pretendere di agire in solitaria, considerando che Cina Usa ed India da soli sono i responsabili del 51,7% dell'anidride carbonica immessa nell’atmosfera. I tre paesi, non a caso soprattutto Cina ed India, sono quelli che sembrano maggiormente favoriti dalla transizione green europea, basti pensare ai veicoli elettrici o alle energie rinnovabili.
E poi perché il settore agricolo è quello che paga il dazio più alto alla conversione green europea, come dimostrano i dati, che parlano negli ultimi quindici anni di una perdita di circa 5,3 milioni di aziende agricole, il 37% del totale di tutta la Ue, solo in Italia sono state ben 600 mila a chiudere bottega.
Ecco allora che la rivolta, scoppiata in sordina in Germania per il rifiuto del governo di prorogare i sussidi per il gasolio agricolo, ora si sta allargando a macchia d’olio in mezza Europa. Il voto del 6 e 9 giugno prossimi, allora, non potrà non tenere conto delle rivendicazioni di un settore che genera un valore di oltre 200 miliardi di euro e che dà occupazione ad oltre 9 milioni di persone.
Ma forse quello che i burocrati di Bruxelles ancora non hanno capito è che su determinate questioni servirebbe un diverso approccio nelle politiche europee, meno ideologico forse è più pragmatico e concreto. Fare meno ma farlo meglio. L’Europa esiste veramente solo se diventa una entità che si sostituisce ai singoli paesi sulle grandi questioni, come la politica estera, la difesa comune, la politica industriale, l'approvvigionamento energetico o la gestione dei flussi migratori.
Tutte questioni sulle quali, il nostro paese sta cominciando ad assumere sempre più un ruolo da primattore, con un attivissima Giorgia Meloni in politica estera. Ed è anche per questo probabilmente che la premier Giorgia Meloni sta seriamente pensando a candidarsi alle elezioni. Per denotare ancora di più, col suo impegno diretto (senza contare il suo ruolo di presidente del ECR) quanto questa competizione elettorale assuma un significato ed un rilievo come mai avuto nel recente passato.