Giovani e fuga di cervelli: torna al Sud solo chi ha un'azienda di famiglia

ll declino economico e sociale legato alla mancanza di opportunità equilibrate ha comportato una forte emigrazione verso Nord. Tornano solo i figli di...

Di Oronzo Martucci
Cronache

Esodo dei laureati dal Sud: la condizionante economica, sociale e politica

I dati elaborati dai Centri di ricerca sui giovani  del Sud fanno emergere chiaramente che la fuga di chi cerca opportunità di affermazione professionale dopo la laurea è inarrestabile e che il ritorno a casa per chi studia nelle università delle regioni del Centro Nord è sempre più improbabile. Spesso torna solo chi può contare su una rete di accoglienza composta da parenti già in possesso di aziende o da titolari di studi professionali affermati. Con la conseguenza che il contesto economico sarà sempre più povero e il contesto sociale vedrà la prevalenza di professionisti che sono stati aiutati nel ritorno da condizioni e percorsi familistici. Anche la selezione politica e quella per la scelta  dei pubblici amministratori  sarà condizionata sempre più da questo fenomeno e gli incarichi saranno appannaggio dei figli di…   

Nel 2040 anche causa del declino demografico, i giovani che risiedono nelle regioni del Mezzogiorno subirà forti riduzioni. La Sardegna avrà il 67 per cento di giovani (in età tra 18 e 21 anni) rispetto a quelli residenti nel 2022. In pratica un  giovane in meno su tre. La Puglia avrà il 69 per cento di giovani residenti, come la Basilicata. La Campania e il Molise il 73 per cento. La Lombardia e il Trentino Alto Adige saranno le Regioni che avranno una percentuale di giovani dell’89 per cento, cioè avranno 11 giovani in meno ogni 100 rispetto ai livelli del 2022.

La fuga verso il Centro e il Nord, e spesso anche verso l’estero, è una tendenza che caratterizza da molti anni le regioni del Sud, tant’è che dal 2002 al 2021 sono emigrati 1.320.405 giovani (under 35) di cui 348.280 laureati (26,4 per cento del totale) con un saldo migratorio negativo nello stesso periodo di 808.561 unità (con 262.633 laureati pari al 32,5 per cento). Se ci si ferma ad analizzare il movimento relativo al 2021 emerge chiaramente che il fenomeno migratorio è sostanzialmente stabile con 62.381 unità, ma i giovani laureati che lasciano in Mezzogiorno sono in forte aumento, sia in termini assoluti (26.226) che in percentuale (il 42 per cento del totale), con un saldo migratorio negativo di 38.881 unità, di cui 19.210 laureati (50,1 per cento del totale). Si tratta di numeri elaborati dall’Osservatorio  Talents Venture su dati Alma Laurea e dalla Svimez nel Rapporto 2023 su dati Istat. Numeri noti, che confermano chiaramente come, a fronte delle belle parole  spese da tutti i governi e da tutti i politici sul rafforzamento della qualità del capitale umano come risorsa fondamentale per ridurre il gap tra Nord e Sud e tentare di frenate la fuga dal Mezzogiorno, la realtà è ben diversa: la forbice si allarga e i giovani vedono vanificata giorno dopo giorno, anno dopo anno, la possibilità di una affermazione o realizzazione professione senza emigrare.

La ricerca di opportunità di affermazione attraverso lo studio o il lavoro da parte di tanti giovani nelle regioni del Nord o all’estero non è di per sé una scelta sbagliata, perché i contesti economici più ricchi aiutano la crescita personale. Se invece la fuga diventa una necessità, i giovani del Sud d’Italia in qualche modo replicano la decisione (a volte accompagnata dalla disperazione) dei loro coetanei del Sud del Mondo. Diventa difficile vedere differenze, se non che nel Sud Italia non ci sono guerra e non si muore di fame, mentre in Africa e in Asia fame e guerra spesso vanno di pari passo.


 

Ma anche i giovani (e le loro famiglie) che dopo gli studi universitari rimangono al Nord pagano prezzi consistenti nella ricerca di una integrazione e di una stabilità lavorativa. L’Osservatorio Talents Venture ha calcolato che a un anno dalla laurea a fronte di una retribuzione mensile media dei giovani laureati che rimangono a Milano  di 1.367 euro, il 69 per cento di quella somma  viene utilizzato per pagare il fitto di un appartamento di 45 metri quadri. A Firenze va via il 60 per cento dello stipendio, a Roma il 48 per cento, a Bologna il 54 per cento, a Padova il 34 per cento. Ne consegue che anche la scelta di restare di tanti giovani è accompagnata dall’aiuto delle famiglie nel pagare gli alti fitti. Dunque è difficile tornare, ma non è facile neppure restare in assenza di sostegni familiari, soprattutto nei primi anni dopo la laurea. 

Un elemento ulteriore va considerato nell’analizzate la fuga dal Mezzogiorno: la riduzione del numero dei giovani che restano al Sud, in particolare dei laureati, crea un ulteriore gap rispetto alle regioni del Nord perché pone le basi per una società del futuro nella quale non solo i cambiamenti economici ma soprattutto  quelli sociali mostreranno evidenti disparità, una sorta di corsa all’indietro verso il tempo in cui  comandavano i ricchi per censo, aristocratici, proprietari terrieri o i commercianti arricchitisi.

Questa corsa all’indietro verso una società più classista anche se meno strutturata di quella che esisteva nel Mezzogiorno d’Italia nel IXX e nella prima metà XX secolo (sino al Secondo Dopoguerra e agli albori del Miracolo Italiano) è determinata dal fatto che in molti casi i laureati che tornano a casa dopo aver completato il loro percorso di studi universitari negli atenei del Nord e del Centro lo fanno perché hanno alle spalle genitori che sono nelle condizioni di accoglierli e in parte di sostenerli economicamente in attesa di lasciare in eredità i loro studi professionali o le loro aziende. I neo laureati che non hanno genitori con studi professionali o aziende avviate cercano la sistemazione, che a volte è un’avventura, nell’area geografica  in cui hanno studiato e sempre più anche all’estero, rinunciando a ogni idea di tornare a casa. Perché il ritorno a casa, per chi non può contare su una famiglia agiata, significa nuotare nei meandri della sopravvivenza, in studi professionali i cui titolari non sono abituati a remunerare adeguatamente l’impegno dei giovani, o a cercare occupazione in aziende che spesso hanno difficoltà a garantire contratti stabili. 


 

Sino agli anni Ottanta del secolo scorso era più facile il ritorno a casa  dei giovani che studiavano nelle università del Centro e del Nord. La Pubblica Amministrazione aveva sempre bisogno di laureati, i quali  erano pronti ad accontentarsi di un posto stabile per tutta la vita. Anche i giovani che studiavano fuori regione nelle facoltà umanistiche erano pronti a tornare per un posto di professore, perché le ambizioni erano meno sviluppate o puntavano al raggiungimento di uno status sociale prima che a uno status economico. Ora la Pubblica amministrazione è avara di opportunità (il politico di turno non è nelle condizioni di garantire alcunché, perché anche la sua sopravvivenza nel sistema è sempre più a rischio).

Le opportunità di lavoro sono offerte spesso dalle società di consulenza, le quali a loro volta lavorano per conto delle Pubbliche amministrazioni ma senza dover rispettare né ciò che resta dello Statuto dei Lavoratori né altre forme di garanzia. E allora si vive in una società più fluida che non significa opportunità per tutti nella scala sociale ed economica verso il successo (il famoso ascensore sociale di una volta) ma instabilità per molti e opportunità soprattutto per chi è tornato a casa dopo gli studi universitari sapendo di trovare una rete familiare di sostegno. Il censo ti aiuta a  studiare, il censo ti aiuta a tornare. Il censo ti aiuta ad affrontare la selezione politica. E il Mezzogiorno sempre di più si impoverisce, non solo  economicamente. 

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