Hugo Boss chiude in Toscana, "lascia il Made in Italy per il Made in China"
"Lascia il paese non per assecondare la domanda di mercato ma per dequalificare il brand e massimizzare i profitti sulle spalle dei lavoratori"
Chiude Hugo Boss Scandicci, i sindacati in presidio chiedono un tavolo
Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil chiedono l'apertura di un tavolo con Regione Toscana e Confindustria Moda sulla vicenda dello stabilimento Hugo Boss di Scandicci (Firenze) con 22 addetti, di cui l'azienda ieri ha annunciato la chiusura. Domani pomeriggio e' previsto un incontro in videoconferenza tra azienda e sindacati, mentre oggi i lavoratori hanno dato vita a un presidio davanti ai cancelli della fabbrica, dedicata a modelleria, prototipia e sviluppo del prodotto per pelletteria e calzature donna. Presente anche il sindaco Sandro Fallani.
L'azienda, secondo quanto reso noto dai sindacati, intende delocalizzare le lavorazioni di Scandicci in Asia (pelletteria) e in Portogallo (calzature donna), affermando che sui mercati di riferimento non ci sarebbe piu' interesse per Made in Italy. "Questa affermazione e' falsa, grave e inaccettabile, e nasconde solo un'operazione speculativa", attaccano le organizzazioni, secondo cui Hugo Boss e' "il primo grande brand di moda che se ne va da Scandicci, anziche' arrivarci", pert cui "la questione interroga, oltre che il mondo del lavoro, anche quello delle imprese e delle e istituzioni: mentre altri brand investono da noi, questo e' uno schiaffo a Scandicci e al polo toscano della pelletteria".
"La decisione del gruppo Hugo Boss di chiudere lo stabilimento di Scandicci e' inaccettabile, i 21 lavoratori impiegati nel sito toscano hanno elevatissime competenze e specificita'. Tagliare questa linea produttiva del lusso significa abbandonare la prototipia, la fase piu' nevralgica nella progettazione dei nuovi prodotti che di fatto contraddistinguono il made in italy". Lo dichiara Sonia Paoloni, segretaria nazionale della Filctem Cgil, in sostegno dei lavoratori della Hugo Boss in sciopero oggi.
"L'azienda - fa presente Paoloni - lascia il paese non per assecondare la domanda di mercato, ma va via dall'Italia per scambiare il made in Italy con il made in China o il made in Portugal, quindi per posizionare in basso e dequalificare il brand. Massimizzare i profitti sulle spalle di quelle competenze che negli anni hanno costruito il valore aggiunto delle produzioni della Hugo Boss".
"La nostra preoccupazione e' che questa sia solo la punta dell'iceberg, e che a rischiare siano anche gli altri stabilimenti e le produzioni in Italia. Mentre tutto il mondo guarda alla Toscana e a Scandicci per le alte competenze che questo territorio offre nella pelletteria e nelle calzature, il nostro timore e' che la Hugo Boss volga lo sguardo verso orizzonti troppo lontani seguendo miraggi troppo sfumati", conclude la segretaria nazionale della Filctem Cgil.
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