"Io vittima di uno stalker. Attacchi di panico: vita distrutta". Lui impunito

Una donna racconta il suo calvario: "Era un mio collega, ho denunciato e avvisato i responsabili. Ma sono dovuta andare via io, non c'è giustizia"

Di Redazione Cronache
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Stalker, la vita distrutta di una donna: ha perso lavoro e salute senza ottenere giustizia

Una donna sfoga tutta la sua rabbia contro i tempi troppo lenti della giustizia italiana. Si tratta di una vittima di stalking sul luogo del lavoro che chiede all'Inail il riconoscimento della sua malattia a causa del trauma subito, ma nonostante lei non riesca più a lavorare e la sua vita sia stata distrutta, il procedimento va a rilento e a farne le spese è solo la vittima stessa. "Ho 43 anni. Alla fine del 2020, quando lavoravo all’Ordine degli Architetti di Napoli, - si legge in una lettera indirizzata a Il Corriere della Sera - ho iniziato a ricevere messaggi indesiderati da parte di un collega, poi diretti anche alla mia famiglia. I messaggi nel tempo si sono trasformati in minacce verbali durante gli incontri in ufficio. Io con questa persona non ho avuto alcun legame sentimentale, se non normali rapporti di convivenza lavorativi. Prima ho bloccato la sua utenza telefonica, dopo l’ho comunicato ai miei datori di lavoro, ma mai è stato preso un provvedimento".

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"Eppure - prosegue la donna a il Corriere - ho sopportato: dopo una lunga psicoterapia, ho capito che sopportavo perché avevo paura, soprattutto perché notavo l’indifferenza rispetto a segnalazioni da me fatte ai miei responsabili e datori di lavoro. Le continue minacce di licenziamento, riferimenti a eventuali aggressioni che io o mio marito avremmo potuto subire, mi hanno portato ad "adattarmi", fino al punto in cui gli attacchi di panico mi hanno impedito di continuare a lavorare. Era il 2 maggio 2023. Da quel giorno è iniziato il mio calvario: ospedali, centri antiviolenza, avvocati, tribunali".

"Ora - si sfoga la vittima di stalking - mentre io sono in cura presso il dipartimento di salute mentale dell’Università Vanvitelli di Napoli, mentre la causa penale e di lavoro va avanti con i tempi della giustizia, ho dovuto cambiare lavoro, e il mio aggressore continua a lavorare nel nostro ex comune ufficio. L’Inail per la seconda volta mi ha rifiutato il riconoscimento della malattia professionale. Con ingenuità ho creduto che episodi del genere venissero tutelati, anche alla luce di numerose pubblicazioni prodotte proprio dall’ente assicuratore e indicazioni ricevute dai funzionari in servizio, ma non è così. Le belle parole spese rimangono belle parole".