La violenza di genere: rigurgito del passato o esito della modernità?

Basterà riflettere sul fenomeno “MeToo”, per cui migliaia di denunce hanno generato solo 6 condanne per riconoscere il flop della repressione giudiziaria

di Bernardino Casadei*
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Violenza sulle donne
Cronache

La violenza di genere: rigurgito del passato o esito della modernità?

Il chiedere a gran voce nuove e più severe leggi per combattere la violenza di genere ci riporta alle pagine dei Promessi Sposi in cui Manzoni descrive la “Grida”, ossia i decreti con cui si cercava nel ‘600, attraverso pene sempre più dure e di immediata applicazione, di combattere il fenomeno dei Bravi e che, chiaramente, si erano rivelati inefficaci. Basterà riflettere sul fenomeno “MeToo”, per cui migliaia di denunce hanno generato solo 6 condanne, per rafforzare i dubbi sull’efficacia della repressione giudiziaria nel contrastare la violenza di genere.

Anche il tentativo di chiamare in causa la cultura patriarcale lascia perplessi. Sembra di assistere ad un’ennesima versione di quel processo di sradicamento con cui, dal secondo dopo guerra, si è cercato di emancipare il nostro Paese da quella cultura della Controriforma che avrebbe impedito agli italiani di riconoscere ed amare la libertà. Ora, sebbene esistano tradizioni in cui la donna è in una situazione di oggettiva subordinazione, siamo sicuri che i ragazzi italiani che sempre più spesso usano la violenza lo facciano in nome di una presunta superiorità maschile o invece perché sono fisicamente più forti delle loro compagne?

Se vogliamo affrontare con una qualche speranza di vittoria questo fenomeno è opportuno chiedersi se le donne subiscono violenza in quanto donne o in quanto soggetti più deboli o, il che è lo stesso, se i ragazzi italiani che si abbandonano a tali esecrabili comportamenti lo fanno perché ritengono le donne inferiori o invece perché vogliono soddisfare un loro desidero piuttosto che reagire ad una frustrazione. Nel primo caso si tratterebbe di un residuo del passato, di rigurgiti reazionari da combattere in nome del progresso, nel secondo caso ci troveremmo davanti ad un comportamento che è la logica conseguenza della dissoluzione della modernità.

Se gli uomini sono gli uni per gli altri strumenti o ostacoli, come ebbe a dire l’abate Sieyès nel suo progetto di dichiarazione dei diritti universali dell’uomo elaborato agli inizi della Rivoluzione Francese, perché non dovrei trattare gli altri e quindi anche la mia compagna, come oggetti? Se la libertà non consiste nel riconoscere ed amare ciò che è bello, buono e giusto, ma nel soddisfare i propri desideri, qualunque essi siano, perché non dovrei cercare di imporre la mia volontà, anche con la forza? Se la vita non è altro che una grande competizione regolata da norme che non sono un tentativo di tradurre in precetti concreti un ideale di giustizia, ma regole del gioco imposte dal più forte di turno, perché dovrei rinunciare al mio vantaggio competitivo e non utilizzare la violenza fisica?

Forse le violenze a cui assistiamo non sono il rigurgito di un passato ormai tramontato, ma l’esito della crisi del moderno e la reazione all’ipocrisia di una società in cui la libertà si è trasformata nel permesso dato agli uomini senza scrupoli di imporre il proprio dominio, con la menzogna e con la frode, alle moltitudini dei semplici.

 

* Associazione Promotori del dono