Cooperativa funebre perde le ceneri di una donna: condannata al risarcimento
Vanno perdute le ceneri di una signora cremata e sepolta a Mira (Venezia) nel 2011. Le figlie fanno causa e dopo 7 anni di processo lo vincono
Sparita l’urna con le ceneri della madre. La violazione del proprio diritto inviolabile al culto per i defunti
Ci sono voluti 7 anni ma dovranno essere risarcite con 40.000 euro di danni (20.000 a testa) Annalisa e Renata Cagnin che hanno fatto causa alla cooperativa friulana Art.co Servizi, per aver perso le ceneri della loro mamma, Livia Bottacin, cremata e sepolta a Mira (Venezia) nel 2011. Questo perché le donne hanno subìto “la violazione del proprio diritto inviolabile al culto per i defunti, estrinsecazione del sentimento di rispetto e di pietas verso le ceneri della congiunta”.
La donna era stata sepolta, con le ceneri, di fianco al marito deceduto anni prima. Risulta dalle testimonianze ma anche dalla nota stessa del Comune di Mira che, comunicando all’impresa il programma delle esumazioni del 29 dicembre 2015, con riferimento alla salma di Gino Cagnin (il marito), aveva indicato specificamente: “ci sono anche le ceneri della moglie Bottacin Livia”. La riesumazione non va però come dovrebbe. Una delle figlie con il marito si presentano per assistere alle operazioni ma la tomba è già stata aperta e la terra scavata con una ruspa. Dell’urna nessuno sa nulla. Immaginate il dramma per i familiari.
Così le due figlie si affidano a Studio3A-Valore S.p.A., società di avvocati e consulenti legali specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e tutela dei diritti dei cittadini.
Dopo un processo lungo in cui la cooperativa si dichiarava innocente si arriva alla decisione.
“È dunque accertato che lo scavo non è avvenuto alla presenza dei familiari”, spiega il giudice di Venezia, “che sono giunti sul posto quando oramai i due operai avevano già rimosso la lapide, aperto la tomba, scavato la terra con la ruspa, raggiunto la cassa e recuperato i resti di Gino Cagnin”. In più scrive il giudice: “Art.co Servizi non ha dimostrato, come dedotto, di aver svolto l’attività ‘nel rispetto di tutte le misure e le cautele volte a salvaguardare i resti mortali e la pietas nei confronti dei defunti’, dato che, seppure dal programma di esumazione le fosse stato segnalato che vi erano anche le ceneri di Livia Bottacin e le era stato indicato di ‘non rompere il pozzetto contenenti le ceneri’, non ha neppure allegato quali accorgimenti tecnici e quali modalità operative abbia adottato per scongiurare il rischio di danneggiamento e/o dispersione dell’urna”.
“Dall’istruttoria è, invece, emerso presuntivamente che i dipendenti di Art.co Servizi abbiano agito con grave negligenza, provocando la dispersione dell’urna”, c'è scritto nella sentenza.
Il problema? Lo spiega il dispositivo. E’ stato “utilizzato un escavatore con pala meccanica di grosse dimensioni, del tutto incompatibile col fine di preservare l’integrità del pozzetto e dell’urna, e che il movimento terra è stato di notevoli dimensioni, per cui la circostanza del mancato reperimento di frammenti del pozzetto o dell’urna, nonostante le ricerche esperite, appare del tutto compatibile con riferimento al mezzo utilizzato e alla quantità di terra rimossa”.
Il fatto accaduto nel 2015 è anche vicino temporalmente alla morte della madre delle due donne. Questo aggrava il quadro per la cooperativa. “Per cui al momento del fatto ne era ancora vivo il ricordo (della madre, ndr)”, scrive il giudice Alessandro Cabianca nella sentenza.
Oltre ai 40.000 euro di risarcimento che verranno coperti dall’assicurazione la coop dovrà risarcire le spese di lite sostenute dalle querelanti, liquidate in complessivi 7.254 euro. Il giudizio è comunque appellabile.
“Questa sentenza è estremamente importante, perché rende finalmente giustizia a due sorelle che hanno subito un danno incalcolabile, la perdita dei resti della loro mamma, e riconosce con forza il diritto di ogni persona al culto dei defunti, la cui lesione va risarcita”, commenta Riccardo Vizzi, Area Manager Veneto di Studio3A -Valore S.p.A. . “Quello che però fa doppiamente rabbia in questa vicenda”, aggiunge Vizzi, “è l’atteggiamento della controparte, purtroppo tutt’altro che infrequente, di non volersi assumere le proprie responsabilità. Nelle varie attività umane gli errori possono capitare, ma troppo spesso accade che chi sbaglia non lo vuole riconoscere, anche contro ogni evidenza, costringendo i danneggiati a intraprendere cause lunghe e dispendiose che vanno peraltro a intasare ulteriormente i tribunali. Nello specifico, questa controversia si sarebbe potuta e dovuta risolvere in pochi mesi in via stragiudiziale, come Studio3A ha cercato di fare in ogni modo”.