Neonato lasciato in ospedale a Milano, la mamma deve avere il diritto di farlo

Il rischio che si vanifichino anni di campagna “pro vita” e parto in anonimato

di Laura Rita Santoro*
Cronache

Neonato lasciato nella “culla per la vita” a Pasqua e il diritto del parto in anonimato

La storia del cucciolo d’uomo, lasciato alla clinica Mangiagalli di Milano, ha scatenato un vespaio. Tra i commentatori seriali, eroi da tastiera, che evidentemente, senza cognizione di causa, giudica l’azione della mamma che ha lasciato il piccolo. Il problema che preoccupa me, le colleghe infermiere, le infermiere pediatriche e le ostetriche, è il rischio di vanificazione di anni di campagna “pro vita”, “partorire in anonimato”.

Prima di tutto è il momento di utilizzare i termini giusti, che spesso i giornalisti dimenticano o omettono, il bambino non è stato “abbandonato”, nel senso che il bambino non è stato lasciato senza aiuto, protezione o assistenza. Il bambino è stato “affidato”, consegnato in custodia alle cure, alla protezione, alle garanzie del personale sanitario tutto.

I bambini lasciati alle cure dei sanitari, normalmente vengono “strapazzati” di coccole! Una collega ostetrica, con la quale mi confronto spesso, mi scrive: “Mi sento male al pensiero che questa donna sia sottoposta alla pubblica gogna”. Inutile dire che è il mio stesso pensiero. Alcuni, anche tra i personaggi famosi, non si rendono conto delle possibili conseguenze delle parole di personaggi come Ezio Greggio e altri.

La campagna pro parto nell’anonimato, nasce per salvare i bambini, piuttosto che doverli trovare abbandonati in un cassonetto, nei casi più felici salvati, ma spesso trovati morti. …per non parlare di quelli mai trovati.

Io vorrei dire, a quelle persone che giudicano le donne che partoriscono in anonimato, consentendo a genitori sterili, di poter esercitare il loro amore verso un figlio non biologico. Il passo reso noto dalla cronaca non deve essere giudicato, questo passo è difficile, ma nessuno si deve permettere di giudicare. E’ facile ergersi a giudice, additare una madre che fa questa difficile scelta, vale a dire lasciare il proprio figlio in ospedale! Ma nulla si fa a livello sociale, per evitare che queste cose accadano.

Nel Lazio, ad esempio, i consultori che potrebbero fare informazione e formazione alle donne, per una genitorialità consapevole, sono stati lasciati morire! Negli ultimi anni sono rimasti, dagli ultimi dati, 135 consultori, ma poveri di personale! Molti consultori sono privi di ostetriche, che per la regione Lazio dovrebbero essere due per ogni consultorio, ma nel Lazio succede che ci sia un’ostetrica ogni due consultori. Chi la fa formazione e informazione alle donne, anche straniere? E’ cosa buona e giusta aiutare quelle puerpere (e sono tante) che desiderano salvare il piccolo essere umano.

Indubbiamente, la vita ha un valore inestimabile e va tutelata in ogni istante. Negli ospedali nostrani è possibile partorire nell’anonimato e rinunciare sin da subito al bambino che verrà affidato, prima possibile a una famiglia che lo amerà incondizionatamente. Questa è una scelta di vita, di amore incondizionato!

Il problema con rischio di esiti infausti, più facilmente, si potrebbe creare nei parti a domicilio, lontano dai professionisti sanitari, come le ostetriche, i medici e le infermiere. Un dovere per tutti i professionisti sanitari, ma anche cittadini comuni, informare che se un bambino viene dato alla luce in casa, oppure se la scelta di abbandonarlo è successiva al parto, non è necessario “gettarlo via”, quella creatura non ha nessuna colpa e ha il diritto di vivere, dobbiamo suggerire di affidarlo in mani sicure.

Le parole d’ordine, ragione per la quale non apprezziamo il grande clamore di questi giorni, “privacy garantita” e “nessuno vi giudicherà”! Chiunque volesse rinunciare al bambino, può farlo in ospedale, nel caso di parto in ospedale, ma può anche ricorrere alle “culle per la vita”, quelle culle che una volta chiamavamo la “ruota degli esposti”. Le donne possono affidare il loro bambino, alle cure, all’assistenza del personale sanitario, senza essere viste e/o riconosciute; le “culle per la vita” sono presenti in tantissime città italiane.

Nelle zone dov’è possibile lasciare i bambini, le telecamere non consentono d’inquadrare le mamme, la visibilità della telecamera è mirata, in modo esclusivo, alla culla, il cui fine è evitare che si possa individuare chi abbandona il bambino.

Portare il bambino nella Culla non è reato in quanto si applica la stessa normativa dell’abbandono in ospedale. Il soccorso, al bambino, sarà immediato e verrà avvisato immediatamente il Tribunale dei Minori che provvederà all’adozione del neonato, dopo dieci giorni.

Le culle sono nate dalla necessità di evitare che i bambini vengano gettati nella spazzatura o affidati a malintenzionati. Forse si è investito troppo poco nella cultura dell’accoglienza della vita e del suo rispetto, una scelta che avrebbe dovuto rimanere anonima, ma è diventata di dominio pubblico, a causa del messaggio di taluni personaggi e del direttore di neonatologia che invitano la mamma a ripensarci. Questo gran parlare dell’ultimo bambino lasciato alla Mangiagalli, rischia di vanificare anche quel poco investito, in cultura, del parto nell’anonimato!

Questi giorni questo gran parlare, rischia di preoccupare le donne che si trovassero in difficoltà, facendole sentire a rischio di giudizio, temendo per la loro privacy.

Certo, molti parlano del senso di colpa che potrebbe provare una madre, che ha lasciato il figlio in ospedale, che però potrà raccontare a chiunque, dal momento che consentito dalla legge! Immaginate, se a seguito di queste parole, una donna, nella speranza di autotutelarsi, decide di gettare il proprio figlio in un cassonetto! Se trovassero il neonato deceduto, la donna rischierebbe la detenzione. Comunque il senso di colpa sarà sempre più forte, di sapere che il bambino è stato affidato alle amorevoli cure di genitori privi della gioia di un figlio.

Finché sarà possibile il parto anonimato e/o l’affidamento del bambino a strutture sanitarie le culle possono salvare tanti bambini. Ricordiamoci che ogni anno, i neonati, ceduti in adozione, sono circa trecento. Preferisco trecento neonati vivi, non uno di meno, piuttosto che fare la guerra psicologica ad una donna che ha problemi che ignoriamo.

Il 70% del personale sanitario è costituito da donne e studiamo per tutelare la vita, ma, anche le donne! Sono numerose le colleghe che mi fanno notare che il padre non è pervenuto, che ha diritto all’oblio, mentre la madre non ha diritto a nulla!

Se decidessimo di lasciare un figlio, non vorremmo tutto questo. Riteniamo, come professionisti sanitari, un pessimo atteggiamento leggere sui social, sui mass media, dei titoloni circa la scelta di lasciare un bambino, così come il nome del bambino e i giudizi espressi a vanvera, cosi come parte del testo della nostra eventuale lettera, spiattellato senza pietà, come se non bastasse, a tutto si aggiunge il primario che ritiene la nostra eventuale scelta, come una sconfitta, per tutto il paese che non avrebbe saputo ascoltare il nostro grido di dolore. …ma chi gli permette di esprimere siffatti giudizi?

Lo sbandieramento della suddetta scelta/opportunità non è una grande prova di civiltà e potrebbe essere causa del vanificarsi della scelta di una madre anonima, che è stata gestita come il lancio di un prodotto commerciale. Sono numerose le colleghe preoccupate, soprattutto le ostetriche, abituate a creare un rapporto confidenziale con le puerpere; temiamo e non ci stupiremo, se le prossime madri, magari spaventate dall’eventuale schiamazzo, decidano di abbandonare un neonato in un cassonetto.

*Responsabile regionale del sindacato degli infermieri italiani Nursing Up Lazio

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