Non ti possono inchiodare per Whatsapp: va provato che quei dati siano veri

La riforma del processo civile chiarisce che i contenuti web non sono in automatico prova durante contenziosi e processi. Va provato che siano veri i telefoni

di Antonio Amorosi
Cronache

Gli smartphone hanno cambiato la vita ma non è automatico che quello che viene fatto su questi strumenti sia una prova

Quattro miliardi, più della metà della popolazione al mondo, possiede un cellulare. Ogni anno si vendono 1,5 miliardi di smartphone. Più di due miliardi di individui nel mondo comunicano attraverso whatsapp, la piattaforma di messaggistica istantanea da diversi anni di proprietà del gruppo di Mark Zuckerberg (Meta/Facebook).

Si stima che al giorno il numero di messaggi whatsapp inviati supererebbero i 100 miliardi. Internet Live Stats, portale che monitora in tempo reale i numeri in rete, sostiene che nel mondo vengano inviate all'incirca 2,7 milioni di mail al secondo, per un ammontare di 227 miliardi di mail ogni giorno. Una diffusione estrema che coincide con la quotidianità di ognuno ma che della quotidianità di decenni fa non ha più la leggerezza e la spensieratezza: tutto ciò che passa da questi sistemi tecnologici resta memorizzato ed è utilizzabile per altri scopi, anche contro chi li ha prodotti con effetti che possono risultare imprevedibili e anche nefasti.

Scatta infatti il panico quando si pensa che anche i messaggi whatsapp o di altre piattaforme, le mail, i massaggi vocali, le foto on line possano diventare prove di quanto detto o fatto, anche durante contenziosi legali e di vario genere.

Con la riforma del processo civile attuale (dlgs 149/2022) però si delinea in modo più preciso che questa eventualità non è affatto un automatismo. Questi “contenuti” non diventano automaticamente una prova in tribunale durante un eventuale processo.

Le aule di giustizia non sono ancora aggiornate e pronte a verificare questo tipo di documenti ad alto tasso tecnologico, poiché non sono tecnologicamente attrezzate a complesse verifiche riguardanti la natura e l’origine degli stessi documenti. I contenuti di messaggistica di Whats app o altro, le mail, le foto on line, i massaggi vocali per essere validi per prima cosa devono essere accettati dalla controparte che è nel processo e soprattutto dal giudice che decide in ogni caso a sua insindacabile discrezione.

E meglio ancora devono essere portati in aula, per essere accettati, “provati” da un consulente informatico che accredita che quei “contenuti” siano veri. Infatti potrebbero essere contraffatti, rischio che non sempre si calcola in modo appropriato dato il tasso di complessità tecnologica del materiale.

In soldoni per quanto questi strumenti tecnologici e informatici siano entrati nella vita quotidiana di ognuno non c’è ancora stata una trasformazione e un adeguamento della giustizia a tali strumenti.

I dati ad alto tasso tecnologico restano di fatto ancora nel limbo delle attività controverse ed elementi di prova contestabili. Questo perché la complessità degli strumenti utilizzati prevede una verifica, non sempre facile e fattibile, sulla provenienza reale del contenuto.

Il lasciapassare a questo tipo di prove, come dicevano, è la controparte in conflitto che non ne contesti l’attendibilità. Attività, la contestazione, che si può esercitare sempre e in questi casi anche senza un fondamento visto che non è prevista una possibile sanzione per chi la esercita a priori, sollevando anche motivi inesistenti.

Molte volte giudici e magistrati tagliano la testa toro chiedendo alla parte in causa se si è gli autori di tal o talaltro “contenuto”, avendo così una chiara attribuzione di paternità e bypassando le possibili contestazioni successive che potrebbero emergere. Ma se non si vuole accettare questa eventualità la strada maestra è sempre la stessa: usufruire di un consulente informatico che possa dimostrare in modo incontrovertibile la paternità di un “contenuto” che si porta in giudizio o si esibisce.

Esiste poi la cosiddetta “copia forense”, con l’esatta duplicazione dei dati digitali presenti in un dispositivo, senza perdita di dati nella destinazione e senza alterazione della sorgente. In altri termini, con la copia forense si genera un clone identico all’originale destinato a diventare una prova.

Vale lo stesso discorso per la “copia conforme ed autenticata” da parte di un notaio o di un altro pubblico ufficiale. L'aspetto negativo che ne emerge sono però tutti gli eventuali costi che questo tipo di accreditamento/accertamento comporta, con una complicazione non limitata delle procedure e dell’impegno di chi deve dimostrare qualcosa.

 

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