Ostia, picchiata per il velo denuncia la famiglia. Hijab, scelta e obbligo

Dai casi del passato alle donne che difendono il diritto di indossare l'hijab

di Elisa Scrofani
 La modella Rawdah Mohamed
Cronache
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Ostia, una 14enne di origine bengalese che rifiutava di mettere il velo sarebbe stata picchiata ripetutamente dalla famiglia. Dopo l'ennesima lite la denuncia delle percosse ai carabinieri

Maltrattamenti durati mesi da parte della famiglia. Il "carnefice" è ancora l'hijab e ciò che esso raccoglie in sé, un credo, una mentalità, una libertà mutilata per la maggior parte delle donne che lo indossano. La vittima dei soprusi è una ragazzina di 14 anni di origini bengalesi e residente a Ostia con la famiglia, che lo scorso sabato si è presentata ai carabinieri denunciando l'aggressione ripetuta da parte dei genitori e del fratello, minacciata di essere portata in Bangladesh. Nell'ennesima lite il fratello 17enne l'avrebbe strattonata facendola sbattere contro un mobile dell'appartamento, da lì la decisione di cercare aiuto. I militari hanno raccolto la denuncia della ragazza, inviando un'informativa alla procura ordinaria e a quella dei minori. Ipotesi di reato per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. La 14enne, medicata e dimessa, è in una struttura protetta.

L'obbligo

A Bologna nel 2017 a una ragazzina erano stati rasati i capelli dai genitori "per punizione" dopo il rifiuto di andare a scuola con il velo. Poi la 14enne era stata affidata assieme alle sorelle a una struttura per minori.

"Pur nel rispetto della nostra cultura e della nostra religione - aveva dichiarato Izzeddin Elzir presidente dell'Unione delle comunità islamiche italiane - crediamo però che la scelta del velo debba restare tale: una scelta. Siamo vicini alla giovane ragazza bolognese. La fede è più forte di un indumento, obbligare al velo non ha nulla di religioso".

Nel 2018 a Padova dei genitori decisero di lasciare a casa la figlia 16enne per la stessa ribellione. Poi dopo una serie di incontri e tentativi di dialogo scuola-famiglia la studentessa tornò in classe. Nei casi peggiori il dissenso di una giovane donna nei confronti dei dogmi religiosi che la famiglia impone dall'alto può sfociare nel suo omicidio. Saman Abbas, la 18enne pachistana della quale non è stato ancora ritrovato il corpo ma che per gli inquirenti è probabilmente morta, avrebbe perso la vita per aver rifiutato il matrimonio combinato voluto dalla famiglia secondo tradizione. 

In Arabia Saudita il primo Campionato femminile  "con velo e pantaloni lunghi"

Intanto in Arabia Saudita si parla di svolta storica per le donne. Dal 22 novembre inizierà la Saudi Women's Football League, il primo campionato di calcio femminile. Una conquista per le donne saudite, che (solo) nel 2018 hanno ottenuto l'ingresso allo stadio come spettatrici. "Un momento importante" lo ha definito il presidente della Federcalcio dell'Arabia Saudita Yasser al-Misehal, che si inserirebbe nel tentativo del paese di sdoganarsi dal suo passato fortemente conservatore.

L’hijab tra costrizione e scelta

Il rapporto delle donne islamiche con il velo. Non tutte parlano di costrizione, non per tutte portarlo significa osservare il Corano e comunicare la propria sottomissione al marito. Anna Vanzan, iranista e islamologa, spiegava qualche anno fa che si parla di "sceltà di un'identità culturale".

"Ci sono donne che si comportano e hanno credenze diverse. La classe sociale di appartenza, il grado d’istruzione, l’area geografica di provenienza sono tutti fattori che influenzano profondamente l’approccio al velo. Quello che è certo è che non tutti sono concordi nel dire che sia il Corano a imporlo". 

A luglio in Francia la modella musulmana con il velo Rawdah Mohamed, norvegese di origini somale, ha avviato una campagna social contro il divieto approvato dal Senato francese del velo islamico per le minorenni. Una lotta contro un altro obbligo, quello che non permette "alle donne musulmane di indossare il loro capo più tradizionale".

Rawdah, scelta recentemente da Vogue come fashion editor, ha raccontato più volte di come il velo le abbia causato problemi, dai datori di lavoro che non volevano assumerla perché l’hijab spaventa i clienti, ai compagni di scuola che glielo strappavano dalla testa. Così nel mondo della moda si è battuta per far accettare il velo nelle passerelle, con non poche difficoltà. 

 La modella e attivista con il velo  Rawdah Mohamed
 

"Promuove l'Hijab", la campagna nella bufera

La delicatezza della questione si esplica nella reazione alla campagna "La libertà è nell’hijab”. La campagna del Consiglio d'Europa qualche settimana fa è finita infatti nella bufera, accusata di "promuovere l'hijab", il simbolo dell'oppressione per molte donne. Forti reazioni soprattutto in Francia, fino al ritiro del progetto. Il portavoce ha assicurato che i "tweet sono stati cancellati e penseremo a una presentazione migliore per il progetto". Dalla Commissione europea Christian Wigand ha spiegato che l’iniziativa fa parte di una campagna contro i messaggi d’odio on line, "i tweet rimossi facevano parte di un progetto co-finanziato dall’Ue con 340mila euro nel 2019″.