Palamara: "Berlusconi un perseguitato come Renzi". E sulla mafia...

L'ex magistrato: "Fu l'ex-premier a cavalcare il moto giustizialista di Mani Pulite. Poi le cose cambiarono"

di Marco Scotti
Silvio Berlusconi, Ilda Boccassini e Luca Palamara
Cronache

Palamara ad Affari: "L'Anm fece opposizione politica a Berlusconi"

Berlusconi un perseguitato? Diciamo che per anni i magistrati dell’Anm sono stati la vera opposizione politica al Cavaliere. Ma non dimentichiamo che le televisioni di Mediaset cavalcarono, prima della discesa in campo, il moto giustizialista di Mani Pulite”. Luca Palamara, ex magistrato e più giovane presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati dal 2008 al 2012, di giustizia se ne intende parecchio. Ha scritto libri (da “Il sistema” a “Lobby e logge”) e ha vissuto in prima persona le complessità che animano la magistratura. Ora, insieme ad Affaritaliani.it, è pronto a sviscerare il difficile rapporto di Silvio Berlusconi con la giustizia.
 
Palamara, Berlusconi è morto: che rapporto ha avuto con i magistrati?
Inizierei sottolineando che inizialmente furono proprio le sue televisioni a soffiare sul fuoco di Tangentopoli. Poi, dopo la discesa in campo questo rapporto cambiò radicalmente. Già nel 1994, quando gli venne consegnato “in diretta” l’avviso di garanzia a Napoli, preceduto dall’annuncio del Corriere della Sera, si capì che era un mondo completamente diverso. Dal 2001, poi, c’è stata l’idea che processando Berlusconi si potessero in qualche modo nascondere i problemi della magistratura stessa.
 
In che senso?
Non voglio entrare nel merito dei processi, ma è chiaro che si è creato un cortocircuito. L’Anm è stato il più forte oppositore politico di Berlusconi. E parallelamente c’è stata la stagione dei processi, una sorta di tenaglia verso chi ricopriva posizioni di primissimo piano. L’ingresso in politica di un personaggio nuovo come il Cavaliere rappresenta uno spauracchio per l’indipendenza della magistratura rispetto alla politica. E la giustizia, o almeno parte di essa, volle provare a difendersi attaccando. Dal 2008, con l’approvazione del Lodo Alfano, poi, il “tappo” è saltato e la magistratura ha voluto avviare un regolamento di conti.


 
Esiste però l’obbligo di indagare su possibili reati, specialmente se si tratta di personaggi pubblici…
Per la magistratura è doveroso verificare se un fatto costituisce, o meno, reato. Ma prendiamo la vicenda Ruby: lì si è avuta l’idea di una giustizia che voleva colpire Berlusconi. Sarebbe andata nello stesso modo se ci fosse stato qualcun altro al suo posto? Sa quante telefonate simili arrivano nelle caserme dei carabinieri? Eppure difficilmente si va a scavare così in profondità. Da qui la domanda: la legge è sempre stata uguale per tutti? Guardiamo anche che cosa sta succedendo a Renzi…
 
Un fil rouge che li unisce, insomma.
Ma certo: la vicenda dei genitori dell’ex sindaco di Firenze per bancarotta si è risolta in un nulla di fatto. Davvero ci si sarebbe accaniti così con altri personaggi?
 
Dunque Berlusconi è un perseguitato?
Non so se sia questo il termine giusto, ma certo il numero di processi cui è stato sottoposto lo ha palesemente messo sotto la lente d’ingrandimento più di quanto meritasse.


 
La condanna per frode fiscale, però, non è stata frutto di una persecuzione. O no?
Non mi piacere entrare nel merito dei processi, ancor di più se sono sentenze passate in giudicato, ma è indubbio che i numerosi processi a a Berlusconi hanno rappresentato un tema di dibattito anche all’interno della magistratura. C’era il timore che si potesse dare l’idea di una giustizia pronta a contrapporsi al potere politico. Sicuramente tutti questi processi hanno dato la stura a chi era già convinto di un’eccessiva attenzione nei confronti di Berlusconi. E si è creata una sovrapposizione tra la sfera etica e quella penalmente rilevante.
 
Di Berlusconi si è parlato e si parla tutt’ora anche in relazione ai rapporti con la mafia: mai dimostrati, ma molto chiacchierati.
Si sono svolti accertamenti per oltre 30 anni. In questo senso è fondamentale riascoltare l’intervista a Paolo Borsellino realizzata da una tv francese…
 
Ricordiamo che quell’intervista fu effettuata il 21 maggio 1992 da Canal Plus. In questa clip il magistrato parla dei rapporti tra Mangano, Berlusconi e Dell’Utri, del fatto che Vittorio Mangano era considerato la “testa di ponte” dei finanziamenti di Cosa nostra al nord. Poi due giorni dopo la strage di Capaci e la decisione da parte della tv francese di non pubblicarla fino a quando venne riscoperta nel 2000 da Sigfrido Ranucci e Arcangelo Ferri…
Esatto. Però il processo penale presuppone l’accertamento e la verifica, non si può andare dietro ai sospetti e basta, altrimenti si rischia di stravolgere l’azione del processo penale. In 30 anni sono stati fatti numerosi accertamenti, ma da quel punto di vista ancora oggi attendiamo di capire che cosa è accaduto. Ma arriva anche il momento in cui bisogna dire basta.


 
Mangano, Berlusconi e Borsellino sono morti, Dell’Utri ormai è ritirato a vita privata: è finito il tempo dei processi per scovare rapporti tra il Cav e la mafia?
No, non ancora. Ci saranno filoni su cui si tornerà a parlare e discutere. E ora che Berlusconi non potrà più difendersi è ovvio che ci sarà ancora più rumore.
 
Ultimamente il tema del rapporto tra l’ex-premier e Cosa nostra è tornato alla ribalta anche per le confessioni del pentito (o sedicente tale) Baiardo. Che cosa ne pensa?
Il tema attuale è quello della credibilità di chi racconta determinati fatti. L’insegnamento di Giovanni Falcone, e cioè che i pentiti rappresentano un bagaglio fondamentale e un aiuto imprescindibile, cozza anche con alcune vicende più recenti rispetto alle quali c’è stato un doppiopesismo nel trattare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
 
Ad esempio?
Ad esempio, come racconto nel mio libro “Lobby e logge” nell’analizzare il rapporto tra mafia e appalti.
 
È giusto che i pentiti vadano in televisione?
Iniziamo a interrogarci anche sul ruolo della stampa, di certa stampa che porta alla luce informazioni di suo interesse e ne seppellisce altre: qui si va oltre la volontà di informare.

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