Caso Ramy, la perizia della Procura di Milano scagiona i Carabinieri ma non placa le polemiche. Il commento

Per l'esperto della Procura di Milano non ci fu speronamento e colpe dei Carabinieri. Ma non basta. E ci rimettiamo tutti

di Andrea Soglio
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Se non si crede nemmeno nella perizia sull'inseguimento e la morte di Ramy.... Commento 

C’è una riflessione da fare in merito alle novità emerse sulla morte di Ramy Elgami, il giovane egiziano che ha perso la vita nel corso di un inseguimento con i Carabinieri a Milano la notte dello scorso 24 novembre. Un fatto che fin da subito ha colpito l’opinione pubblica e, soprattutto, diviso il paese in due: da una parte chi accusava il ragazzo e soprattutto il suo amico, Fares Bouzidi, alla guida quella notte dello scooter che non fermandosi ad un posto di blocco ha dato il via all’iseguimento chiuso con l’incidente.

Dall’altra chi ha subito messo sul banco degli imputati i Carabinieri, colpevoli si è detto di aver speronato lo scooter mandandolo volontariamente fuori strada. E da questo punto di vista non parliamo solo degli amici della vittima (cosa per certi versi comprensibile) o di chi non perde occasione per prendersela con le Forze dell’Ordine, ma anche di politici di alto rango, primo tra tutti il sindaco di Milano, Beppe Sala (“sbagliato inseguire Ramy per 20 minuti di notte a Milano. Certamente i video dell’inseguimento ci danno un segnale brutto…” 

Ieri la Procura di Milano che ha aperto un’inchiesta su quanto accaduto quella notte, ha reso noti i risultati della perizia effettuata da un suo esperto, super partes, sull’incidente. Secondo il perito “non ci fu alcuno speronamento”… e, soprattutto, “le gestione dell’inseguimento da parte dei Carabinieri è stata corretta e dentro i limiti delle regole previste in azioni simili”.

Inutile dire che una tale conclusione ha avuto reazioni diametralmente opposte. Chi era per l’innocenza dei militari ha esultato ed oggi parla di “caso chiuso”. Chi invece era per la loro colpevolezza parla di “perizia di parte”. Tutto prevedibile e, verrebbe da dire, piuttosto triste come ci ha confessato con un amarezza un ex grande investigatore dell’Arma proprio del capoluogo lombardo: “C’è talmente una caccia alla divisa in partito della nostra società che nulla fa cambiare idea a certe persone…”.

Siamo infatti in una società dove il livello di “tifoseria” ha ormai raggiunto picchi tali da non farci vedere, ascoltare, soprattutto capire. Nulla ci fa cambiare opinione, nemmeno un fatto certo, nemmeno la perizia di un professore da anni collaboratore della Procura, cioè dell’accusa.

È questo il rischio maggiore che stiamo correndo: non crediamo più a nulla, nemmeno nella Giustizia. Basta infatti scorrere giornali e siti per trovarci davanti sempre in queste ore alla clamorosa riapertura del caso di Garlasco, con un nuovo indagato e gli innocentisti vicini ad Alberto Stasi, pronti a richiedere un nuovo processo. Nessuna certezza, nessuna giustizia, cosa che ormai è un cancro della società e che va estirpato al più presto.

Per farlo serve soprattutto una cosa: “coraggio”. La forza di dire “mi sono sbagliato”, di leggere le carte delle indagini per quelle che sono, di fidarsi di investigatori, inquirenti, uomini e donne delle Forza del’Ordine. Ed in questo il buon esempio, il primo gesto, dovrebbe arrivare proprio dalle istituzioni, da chi dovrebbe guidarci con criterio, per primo in questo caso dal Sindaco Sala e dai politici ed opinionisti di fama nazionale che si sono subito scagliati contro i Carabinieri e che purtroppo in queste 24 ore o non hanno commentato o si sono aggrappati alla loro posizione iniziale dicendo: “il processo è ancora aperto. Vedremo alla fine”.

Non ci sono altre vie. Quando ci si trova dentro una spirale ci sono solo due alternative: o se ne esce, a fatica, o si sprofonda sempre più in basso.

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