Perugia, il "giudice-poeta" si dimette: evita il processo per arretrati record

Ha presentato le sue dimissioni dalla magistratura Ernesto Anastasio, il giudice appassionato di letteratura che aveva accumulato arretrati record

Di Redazione Cronache
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Perugia, si dimette il "giudice-poeta": evita il processo per arretrati record. Aveva detto: "Non morirò in toga"

Ha presentato le sue dimissioni irrevocabili dalla magistratura Ernesto Anastasio, il magistrato appassionato di letteratura sospeso dalle funzioni e dallo stipendio dal Csm per aver accumulato un arretrato di 858 fascicoli al tribunale di Sorveglianza di Perugia. Dove – risulta all’Ansa- ha depositato ieri la sua istanza in cancelleria. Anastasio ha chiesto che le dimissioni fossero trasmesse alla sezione disciplinare del Csm chiamata a decidere su una sua eventuale dispensa dal servizio. Gli atti sono stati quindi trasmessi a Roma dai vertici dell’Ufficio giudiziario perugino.

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“Ho fatto un macello ma non morirò in toga” aveva detto il giudice, magistrato di Sorveglianza di Perugia, finito sotto accusa per un impressionante arretrato di sentenze da scrivere. Anastasio, 53 anni, battezzato come il giudice-poeta perché ai provvedimenti preferisce libri e poesia la Sezione disciplinare del Csm ha deciso la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. “Non credo proprio che morirò magistrato, non mi pare una cosa plausibile” aveva detto il magistrato, in funzione dal 1999. Il provvedimento del Csm di settembre non era il primo incidente di carriera: in passato la lentezza a smaltire i fascicoli gli era costata l’apertura di almeno sei procedimenti disciplinari, di cui tre conclusi (due con l’assoluzione, uno con la lieve sanzione della censura) e altri tre, i più recenti, tra cui quello che ha portato alla sospensione. Negli anni da giudice civile, come ricostruito ad agosto da FattoQuotidiano.it, a Santa Maria Capua Vetere (Caserta), il magistrato è stato accusato dalla Procura generale della Cassazione di aver depositato in ritardo 274 provvedimenti civili: in sessanta casi i ritardi sono stati “superiori al triplo dei termini previsti dalla legge, con un picco massimo di 1.203 giorni“.

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