La sentenza sulla ragazza stuprata ed ubriaca distrugge il principio di "volontà"
Fa discutere la sentenza di assoluzione dall'accusa di stupro su una ragazza perché "ubriaca". Questa l'opinione, sdegnata, dell'Avv. Daniela Missaglia
La sentenza sulla ragazza stuprata ed ubriaca distrugge il principio di "volontà"
Al netto del fatto che, per prendere posizione specifica su qualunque provvedimento giudiziale, bisognerebbe leggere le ‘carte’ e conoscere i dettagli del procedimento, la libertà di parola e di commento, garantita dalla nostra Costituzione, ci consente comunque di esprimerci e formulare adesioni o prese di distanza dai responsi dei Giudici.
Ecco, in questo caso il mio dissenso è netto, fermo e sdegnato. La sentenza della Corte d’Appello di Bologna che conferma l’assoluzione di due ultra-trentenni dall’accusa di violenza sessuale nei confronti di una ragazza che, all’epoca, aveva solo diciotto anni, filmata durante l’amplesso con uno o entrambi di loro, veicola un principio aberrante, a mio avviso.
Quello per cui il consenso si dà per presunto anche laddove la vittima non sia in ‘compus sui’, cioè non abbia la possibilità di decidere liberamente del proprio corpo e delle proprie azioni. Perché questo è il tema: non si colpevolizza l’uomo – in quanto tale – per essersi congiunto ad una donna, ma occorre sempre verificare se quest’ultima fosse in grado di esprimere il proprio consenso in modo consapevole.
Per capirci: se la ragazza fosse stata un ‘imprenditrice di se stessa’ – come lo sono molte sue coetanee che lucrano sul proprio corpo attraverso portali come OnlyFans – e avesse deliberatamente scelto di gettarsi in un’orgia davanti a una video-camera, nulla quaestio. La moralità lasciamola da parte, appartiene a un altro ambito.
Ma, da quello che leggo, mi risulta che la vittima fosse una studentessa appena maggiorenne, rea di aver bevuto un bicchiere di troppo, e forse più d’uno, a tal punto da perdere completamente la nozione di sé. Apprendo come la ragazza fosse talmente ubriacata che i due soggetti imputati l’hanno letteralmente gettata sotto la doccia gelata, nel tentativo di farla rinsavire, prima di compiere su di lei atti sessuali.
Ora è lecito domandarsi se quegli atti, per giunta filmati con l’immancabile cellulare, fossero il frutto di una decisione libera o, piuttosto, indotti da persone che ne hanno bestialmente sfruttato la condizione di semi-incoscienza e incapacità, quella che si chiama – in diritto – minorata difesa.
Lo sdegno nasce dal sovvertimento di un principio che ritenevo finalmente intangibile e acquisito: nessuno può forzare la volontà altrui, nemmeno se manca un espresso diniego perché la donna non è in grado di formularlo. Il fatto che dalle riprese, visionate dai Giudici, “non si apprezza alcuna costrizione" (così, pare, sia scritto nella sentenza), a mio avviso non significa nulla, se la vittima – in quel momento – era alterata a tal punto da non potersi autodeterminare.
Di sentenze ‘pericolose’ ne abbiamo già inanellate moltissime (ricorderete quella secondo cui non vi può essere stupro se la vittima portava i blue-jeans) e non vi era bisogno di arricchire la collezione.
Anche perché il rischio è quello di annullare le conquiste fatte negli ultimi anni contro la violenza sulle donne, mandando al macero la lotta condotta da tutta l’opinione pubblica, la società civile e gran parte del Parlamento per sensibilizzare sul tema. Un ritorno alla preistoria che umilia il diritto e la speranza che qualcosa sia cambiato rispetto ai vecchi stereotipi che rendono le donne – ahinoi – figlie di un dio minore.